Testimonianza archeologica di San Paolo a Efeso
Per raggiungere la Grotta di San Paolo, si deve percorrere un sentiero che si apre oltre la recinzione degli scavi dell’antica città di Efeso, sul versante settentrionale del Bülbül dağ (monte dell’usignolo); a cica 80 m di h sul livello del mare si giunge al complesso monumentale costituito da due grotte naturali, una piccola e una più grande, precedute da uno spiazzo rettangolare.
Da Parte antestante la grotta qui si gode la bella vista sulla parte Ovest di Efeso in particolare sull’area portuale e sul teatro.
Quello che il monumento rappresentasse in origine è ancora in fase di approfondimento dato che l’area non è ancora stata oggetto di scavo. I dati raccolti finora rivelano una destinazione a luogo di culto testimoniato dalle numerose incisioni di preghiere e dalla presenza di pitture a soggetto sacro.
La grotta di dimensioni maggiori, ampliata rozzamente, si presenta come una galleria scavata diritta nella roccia per una lunghezza di 12 metri, larga e alta circa 2 che nella parte finale si allarga leggermente formando un piccolo vano. La prima menzione della grotta si trova nel 1906 in O. Bendorf . Il luogo fu trascurato fino alla riscoperta nell’anno 1955 dallo storico W. Modrian ; ebbero luogo in quel periodo i primi scavi dai quali emersero le incisioni con invocazioni a S. Paolo. In seguito nuovamente dimenticato, il monumento fu oggetto di interesse da parte della Prof.ssa Renate Pillinger, che, aiutata da S. Sabran lavorante agli scavi di Efeso da lungo tempo, nel 1995 ritrovò in breve l’ingresso della grotta celato dalla vegetazione. Infatti la grotta e i resti dell’atrio erano quasi completamente ricoperti e perciò invisibili, perché fino ad allora il luogo era frequentato dai pastori locali.
Durante lo scavo del 1996 diretto dalla prof.ssa Renate Pillinger furono rinvenuti resti di parti architettoniche e frammenti dell’intonaco dipinto.
Nel 1997 la Prof.ssa Renate Pillinger iniziò in collaborazione dell’Istituto Archeologico Austriaco, diretto dal Prof. F. Krinzinger, la prima fase di studio della grotta con l’esecuzione dei rilievi e la documentazione delle iscrizioni presenti sull’intonaco . Nel 1998 il restauratore capo dello scavo K. Herold è stato incaricato di rimuovere alcune porzioni dello strato di calce che ricopriva interamente gli intonaci e la roccia, rivelando l’esistenza di un ciclo pittorico di notevole interesse. Proprio in questa fase avvenne il sensazionale
Restauratrici al lavoro
riconoscimento della figura di San Paolo durante la predica a Tecla, confermando l’intuizione della Prof.ssa R. Pillinger sull’importanza di questo luogo. In seguito a questa scoperta si è deciso di procedere nel 2000 con una prima campagna di restauro, durante la quale si è approfondito lo studio dei numerosi livelli d’intonaco presenti, eseguendo una serie di test per individuare l’estensione del ciclo pittorico e la metodologia per portarlo alla luce. Le indagini sono state affidate a un equipe italiana di restauratrici che in seguito hanno intrapreso un intervento di restauro dei dipinti attualmente ancora in corso, affiancate dalla costante collaborazione del petrologo Prof. J. Weber. Come si è detto in precedenza, all’inizio dei lavori l’intera superficie dei dipinti era ricoperta da uno strato di calce e da diffuse incrostazioni di diversa natura. La leggibilità dei dipinti già svelati appariva compromessa da un offuscamento generalizzato dovuto alla presenza di depositi superficiali di polvere, residui di scialbo e da un velo bianco di sali ricarbonatati; trattandosi di un ambiente ipogeo le variazioni termoigrometriche costituiscono il fattore di degrado più difficilmente risolvibile ed in particolare l’acqua d’infiltrazione proveniente dal terreno sovrastante ha in parte provocato la caduta di ampie porzioni d’intonaco e talvolta veri e propri ruscellamenti durante le stagioni in cui avvengono maggiori precipitazioni (primavera-inverno). L’elevato tasso di umidità e la differenza di temperatura con l’esterno provocano la formazione di condensa, favorendo i processi chimici che determinano il degrado della superficie pittorica. In relazione al controllo di questi fenomeni, di fondamentale importanza per la conservazione del monumento, è stata richiesta la consulenza del fisico Dott. L. Bratasz il quale in seguito alla valutazione delle misure di T e UR% in corso di rilevamento dal 2005, ha progettato un sistema automatizzato di apertura e chiusura da installare nell’ingresso della grotta.
Un altro fattore di degrado è stato sin dall’inizio la presenza di microrganismi biodeteriogeni derivanti sia dal terriccio fortemente inquinato che ricopriva il piano di calpestio (deiezioni animali, residui organici) che dallo sviluppo di almeno quattro tipi di alghe, tra le quali le Diatomee, isolate e riconosciute dalla microbiologa.
Per poter portare alla luce il complesso ciclo pittorico è stato quindi necessario progettare l’intervento conservativo a lungo termine durante il quale sono state prese in esame le diverse problematiche scientifiche che hanno consentito di rimuovere lo strato bianco soprammesso alle pitture con il metodo più adeguato. In alcune parti della grotta la rimozione dello strato bianco di calce è stato effettuato o con semplice acqua distillata o con blandi solventi chimici ma la maggior parte della superficie è stata disvelata mediante l’utilizzo di strumenti meccanici di precisione, dai più semplici come il bisturi, ai più puntuali come l’ablatore ad ultrasuoni e il vibroincisore a percussione pneumatica. Talvol
Restauratrice mentre rimuove un incrostazione com il vibroincisore
ta le operazioni di pulitura sono state difficili e lente dovendo rimuovere spesse incrostazioni costituite da formazioni di vere e proprie concrezioni calcaree rese a tratti più compatte dalla presenza delle alghe diatomee già menzionate, capaci di produrre biossido di silicio come elemento del loro metabolismo. In più la superficie pittorica sottostante era impoverita dal degrado e di tale fragilità da richiedere microconsolidamenti puntuali preventivi.
Attualmente, a buon punto con le operazioni di restauro, entrando nella grotta ci si trova di fronte ad uno spettacolo di indubbio fascino ma di difficile lettura dal momento che i cicli pittorici dipinti sono di epoche diverse e in gran parte sovrapposti. Si può ipotizzare che il monumento abbia cambiato “veste” almeno quattro volte nel corso dei secoli.
Cominciando l’osservazione dalla parete occidentale, appena entrati, si trova una nicchia approssimativamente semicircolare scavata nella roccia nella quale sono raffigurati i così detti “fiori sparsi” ed una grande palma interrotta da una lacuna dovuta ad un evidente ampliamento del vano che ne ha modificato la curvatura.
La decorazione a fiori sparsi che qui è dipinta sul primo strato caratterizzato da una colorazione rosata e a contatto con la roccia, deriva dalla tradizione romana dei cubicula e dei luoghi di sepoltura; si possono osservare esempi ben conservati nelle vicine aree archeologiche dell’antica città di Efeso nella zona detta delle “case del pendio”, e nell’area dei “Sette dormienti”. Purtroppo la modifica strutturale di questa nicchia, ha causato la perdita di parte dell’iscrizione in greco che si trova sull’archivolto e che indicava una dedicazione.
Proseguendo sulla stessa parete troviamo la più antica immagine di S. Paolo in Turchia raffigurato nell’atto di predicare a Tecla che ascolta dalla finestra della sua casa. Alla sua sinistra è raffigurata Teoclia (madre di Tecla) con una acconciatura simile a quella di Teodora (moglie di Giustiniano rappresentati nei mosaici di San Vitale a Ravenna), stranamente più alta di Paolo. Il restauro ha chiarito che S. Paolo predica da seduto, infatti rimuovendo le incrostazioni presenti sulla figura del santo, è emersa la curva del ginocchio. Questi elementi descrittivi uniti al fatto che il testo sacro è già su libro e non più su rotolo farebbero supporre ad una collocazione storica intorno alla fine del V secolo. Tecnicamente questo intonaco presenta una diversa composizione rispetto a quello precedentemente descritto, colore grigio e superficie più premuta. Inoltre il giunto di giornata si sovrappone al precedente come a voler conservare parte della decorazione già esistente e creando una sorta di finestra con il racconto di S. Paolo. Va notato che gli occhi e le dita della mano destra dicente della figura di Teoclia sono stati distrutti volontariamente.
Andando oltre, verso il fondo della grotta, si leggono numerosissime invocazioni e preghiere in greco incise ad affresco sul primo strato di intonaco ad ulteriore conferma della funzione sacra del luogo.
Nella parete orientale troviamo un intonaco di colore grigio abbastanza liscio sul quale sono rimaste poche tracce di pittura. Questa parte del monumento è ancora oggetto di restauro quindi i dati a disposizione non sono completi. La scena raffigurata rappresenta il sacrificio di Isacco, lo si deduce dal pugnale che bandisce e dalla recente scoperta della pianta dei piccoli piedi che confermerebbe la posizione inginocchiata del figlio Isacco in attesa del sacrificio. Abramo, in una tunica bianca, ha il volto distrutto quasi per intero da un atto vandalico.
San Paolo dopo l’intervento di restauro
Lungo la stessa parete si aprono due nicchie ad arcosolio. La prima, di maggiori dimensioni (larga ca. 2 metri, alta 0,50 e profonda 0,70), è caratterizzata dalla sovrapposizione di tre diversi momenti pittorici; Il più esteso, il più antico, rappresenta una mensa ampiamente panneggiata e decorata su cui sono riconoscibili, non senza difficoltà, un codice gemmato ed un calice tra due gruppi di Santi. Nella parte superiore, dipinto su di un sottile strato di scialbo bianco, è riconoscibile il volto di Cristo con grande aureola tipica del Pantocratore. Ulteriori lacerti di un sottilissimo strato, al momento ancora in fase di restauro, rappresentano volti di Santi realizzati in modo stilizzato, grandi occhi delimitati da una spessa linea nera e particolari copricapo neri.
Una seconda nicchia, più piccola della precedente, anch’essa ad arcosolio, raffigura una Madonna in trono con Bambino e resti di un secondo strato realizzato come scialbo su cui è visibile il volto di una figura.
Sul lato est due piccole incavature, una in prossimità della piccola nicchia e proseguendo una nell’aula, sono state ricavate al terzo superiore della parete probabilmente con funzione di appoggio per candele o lampade.
Alla fine della galleria si apre uno spazio di forma quadrangolare con stratificazione maggiore di intonaci dipinti rispetto al resto della grotta e con caratteristiche che potrebbero identificarlo come presbiterio: tracce di allettamento di lastre sono individuabili all’inizio delle pareti laterali, tracce della posa in opera di un manufatto riconducibile ad altare o reliquiario e il ritrovamento di elementi decorativi tipici di transenne confermerebbero tale ipotesi.
Giunti in questo vano che potremmo chiamare quindi presbiterio, volgendo lo sguardo verso sinistra, si è colpiti da una vasta campitura di un blu chiaro intenso che le analisi hanno rivelato essere blu egiziano. Questo è lo stato dipinto più antico ed è una straordinaria testimonianza del periodo che si colloca tra la fine dell’epoca classica e l’inizio di quella cristiana; questa scoperta, risalente alla campagna di restauro del 2003, ha infatti suscitato un grande interesse da parte degli studiosi.
La scena è racchiusa in un tondo, come già detto, di colore blu egiziano (il cui raggio è di circa 46 centimetri) al centro del quale si legge una figura maschile di giovane età che conduce un carro trainato da quattro cavalli diretti verso l’alto; sul carro una pelliccia di colore scuro. La sommità di questa stesura non è completamente visibile a causa della sovrapposizione dello strato successivo ma si vedono chiaramente i piedi di un altro personaggio. Nella parte sottostante al tondo sono individuabili quattro iscrizioni in greco, la cui lettura è resa difficoltosa da diffuse abrasioni e cadute della pellicola pittorica; tuttavia tre di questi nomi corrispondono ai fiumi del Paradiso citati nella Genesi. Se tecnicamente questo strato presenta ancora caratteristiche simili alla pittura romana con una base a campitura piatta liscia e premuta e la figura descritta in punta di pennello caratterizzata da un certo realismo. Il tema trattato potrebbe tuttavia essere già mutuato al cristianesimo; alcuni elementi ricondurrebbero al tema biblico del carro di Elia.
L’intonaco cronologicamente successivo, che si sovrappone celando la parte sinistra del tondo del carro di Elia, è di colore grigio con stesura regolare e liscia. La composizione è a base di calce con inclusi visibili di sabbia e polvere di marmo. L’immagine raffigura un albero stilizzato di colore blu egiziano su base nero carbone, con frutti giallo arancio eseguiti con pennellate corpose e lucide. Questi frutti antichi sono ancora coltivati nell’area di Selçuk e si possono ammirare anche in alcuni giardini della parte antica della città.
Il terzo strato dipinto costituisce il ciclo più completo, ed è infatti osservabile con una certa continuità in tutta l’aula; il fulcro della narrazione si trova nella parete centrale ove è raffigurato un Cristo giovane, benedicente, racchiuso in una mandorla tra due Santi non ancora riconosciuti e figure di dimensioni inferiori ai lati. Nelle due pareti laterali si sviluppa una sequenza di Santi e Sante rispettivamente alla destra e alla sinistra. Il Cristo rappresentato senza barba suggerisce una datazione preiconoclastica del ciclo.
Malgrado il cattivo stato di conservazione queste grandi figure sono caratterizzate da un elevato grado di maestria riscontrabile da alcuni particolari meglio conservati quali le mani, occhi (di un solo Santo dal momento che quasi tutti hanno subito l’azione turpe dei vandali), codici ed alcune parti emerse dalla rimozione di incrostazioni; queste ultime infatti hanno consentito la conservazione della pellicola pittorica proteggendone la complessa superficie ricca di passaggi tonali e segni delle corpose pennellate.
Questo terzo strato sembra seguire nella parte inferiore il margine del piano orizzontale di una pavimentazione, oggi assente, che alzava il piano di calpestio di circa 20 cm rispetto a quello attuale; anche le imposte delle transenne sembrerebbero ricavate in questo momento storico, elementi che riconducono alla destinazione del luogo a chiesa.
Lo strato più recente di intonaco presenta caratteristiche del tutto diverse dal resto del monumento e la sua conservazione si è limitata a un discreto frammento localizzato nella porzione destra della parete orientale dell’aula.
Il lacerto rappresenta un Santo in vesti da guerriero con scudo e lancia. Sullo sfondo blu scuro, eseguito con lapislazzuli steso su una base di nero carbone, sono riconoscibili il monogramma alfa a lato sinistro dell’aureola ed alcune lettere greche minuscole sul lato destro in verticale.
Le lettere della scritta e gli attributi del Santo lo rendono individuabile come S. Giorgio.
Si è brevemente descritto quello che in realtà è un unicum storico di eccezionale importanza che grazie alla determinazione della Prof.ssa Pillinger e dei suoi collaboratori si sta avviando verso la conclusione; il restauro non è ancora terminato ma sicuramente riserverà altre sorprese determinanti per una più corretta e completa lettura dei cicli pittorici e chiarire il divenire storico del monumento.