La chiesa Rossa
Quanti sono stati in Turchia si illuminano se parli di Cappadocia, e un sospiro esce spontaneamente dalla loro bocca: “Che bella!” Ed è vero. La Cappadocia è qualcosa di unico, di insuperabile, uno di quei paesaggi che, quando lo vedi per la prima volta, ti toglie il fiato.
Gorëme, i “camini delle fate”, Zelve, Uçhisar, le città sotterranee, un insieme di paesaggi, di chiese rupestri, di abitazioni troglodite, di monasteri che davvero ti incanta. Ma non è di questa Cappadocia più conosciuta, e oggi forse un po’ troppo sfruttata dal turismo, che io vorrei parlare, ma di una Cappadocia minore, meno frequentata, un po’ più periferica.
Intendiamoci anche qui c’è un mondo intero da scoprire. Io però vorrei solo presentare due chiese che sicuramente sono fuori da percorsi turistici, nelle quali mi imbattei quasi per caso nel mio girovagare inseguendo solo la bellezza dei paesaggi e la mia innata curiosità.
Nella zona è conosciuto con il nome di “Kale” (=castello) denominazione molto generica. Una scalinata ricavata nella roccia immette in un cortile interno. Al centro la chiesa, attorno il monastero. Stupendo, soprattuttto per il posto. Isolato sulla roccia, quasi come uno dei monasteri delle Meteore in Grecia, attorno il vuoto, o meglio il riposante paesaggio della campagna con un laghetto al centro.
L’edificio è ancora solido, anche se in rovina. Facilmente fu abbandonato Cappadocia, veduta panoramica della campagna antistante il monastero detto ‘Kale’
solo agli inizi di questo secolo, quando ci furono le varie guerre e gli sconvolgimenti legati alla nascita della Repubblica Turca (1920 – 23). Infatti sino a quell’epoca la presenza cristiana in Cappadocia era ancora consistente. Ancora oggi si possono riconoscere in tanti villaggi le chiese greche o armene abbandonate nel 1923 alla fine della guerra greco-turca e il successivo scontro di popolazioni tra i due stati.
Cappadocia, abside diroccata della ‘Kizil Klise’
L’idea mi sorrise per un attimo. “Si potrebbe fare un campo di lavoro, richiamare qui tanti giovani e con la guida di un buon architetto/archeologo restaurare almeno le cose un po’ vistose ma subito ricaccia indietro il pensiero: E i permessi ?
Mi spaventò tutto l’iter burocratico.
Domande, sopraluoghi, burocrazie…. roba che si mangia tempo e soldi. “Ai tempi di S. Francesco era tutto più semplice” commentai tra me e me.
Sostammo qualche tempo, facendo anche la nostra preghiera, al centro di quell’abside che si apriva verso il cielo. E vi dico che non ci fu, anche per quei giovani, preghiera più sentita e semplice.
“Andiamo – dissi al termine – e ricordate che questa chiesa si chiama Kizie Kilise, la “chiesa rossa” ed è una chiesa paleocristiana del V sec. Per 1500 anni qui cristiani e monaci hanno pregato e questo edificio ha sfidato vento, bufera e neve. Ora, l’incuria degli uomini rischia di far crollare ogni cosa. Tra qualche anno ci sarà solo un cumulo di pietre”.
Il mio cuore per un attimo si intristì, mentre pensavo a quello stato di abbandono. Ma anche il volto dei miei amici si era fatto pensoso e triste.
Cappadocia, un monastero solitario
Anche quella volta ero in pullmino con alcuni giovani amici, chiassosi e spensierati. In mattinata eravamo stati a visitare
Cappadocia, un monastero solitario denominato in zona ‘Kale’ la valle di Ihlara con le sue chiese rupestri. Una specie di canyon con il fiume al centro, che scorre in mezzo a una ricca vegetazione e alte pareti a strapiombo ai lati.
Le chiese si aprono a intervalli irregolari, ora in un versante ora nell’altro. Avevamo passato tutto il mattino quasi giocando alla scoperta delle chiese più interessanti (quelle con degli affreschi) poi c’eravamo fermati lungo il fiume per mangiare un boccone (è proibito, ma un custode gentile ci ha lasciati fare) e c’era scappata persino una partitella a pallone. Di là eravamo risaliti (in senso letterale perchè ci sono da fare duecento gradini) in strada e c’eravamo diretti verso l’imbocco della valle, verso Peristrema. Superato il villaggio troglodita di Selime, appena dopo ci apparve, su una collina, un insieme di edifici che chiaramente lasciavano intuire la struttura di un monastero.
La chiesa abbandonata del monastero detto KALE
Nella chiesa si possono ancora riconoscere tracce di affreschi, e i vari edifici presentano dettagli in pietra La chiesa abbandonata del monastero detto ‘Kale’lavorata.
La curiosità dei miei giovani amici era notevole, soprattutto nello sporgersi con notevole disinvoltura da ogni picco verso il vuoto. Con mia grande preoccupazione, come potete immaginare. Di là, visto che il sole era ancora alto, (eravamo in giugno: bellissimo girovagare in questo mese con quelle giornate che non finiscono mai) proseguimmo per una stradina verso un passo che doveva riportarci nella valle di Derinkuyn da dove era per noi agevole ritornare a Göreme, al nostro campo. La strada era buona, stretta, ma asfaltata. Il paesaggio verde e riposante con alte montagne sullo sfondo. Iniziammo così a salire sempre più, con una lenta serpentina sino a giungere in vista del passo e di un villaggio: Sivrihisar.
Ma prima dell’ultimo tratto – non sapevamo neppure più dov’eravamo e a che altezza – vediamo sulla destra una splendida chiesa diroccata dalla pietra rossa. Restiamo incantati: davanti alla chiesa si distendono prati fioriti in una specie di piccolo altipiano traboccante di verde e profumo di fiori.
La chiesa Rossa
“Cos’è questa chiesa?” Chiesero i miei compagni di viaggio, ammirati e desiderosi di correre a esplorare. Fermai il pullmino cercando sulla mia guida qualche notizia, ma senza attendere risposta, quelli erano già spariti correndo verso la chiesa. Piantai il pullmino in mezzo a una stradina secondaria e mi avviai, scattando qualche foto.
La chiesa è meravigliosa, ormai è cadente, ma conserva tutta la sua struttura solida. Feci notare ai giovani una grossa buca proprio sotto l’abside centrale, che mette in pericolo la stabilità dell’edificio e commentai “Questi sono scavi di gente del posto che cercano i tesori nascosti dai cristiani prima di fuggire. Tutti i turchi, intendo la gente semplice del volgo, hanno la mania di cercare tesori e scavare. Ma dimenticano però di rimettere la terra a posto e qui ora c’è il rischio che crolli tutto”. Quegli scavi li ho visti tante volte un po’ in tutti i siti archeologici della Turchia. Sono dovuti a questi “tombaroli” improvvisati.
Parlo e quei giovanotti della chiesa, spiego la sua struttura, dei rischi che quello stato di abbandono porta con sè, del bisogno di fare restauri, di rimettere a posto le pietre pericolanti e richiudere con urgenza quel buco ove l’acqua ristagna e il terreno cede. “Perché non restiamo qui un anno e facciamo come il S. Francesco della prima ora e aggiustiamo questa chiesa?” è il commento di uno di loro, forse il più sensibile all’arte e il più affascinato dal posto.