I cappuccini dalla Georgia a Trebisonda sul Mar Nero
L’inizio della Missione dei Cappuccini a Trebisonda (oggi Trabzon) è da collegarsi alla chiusura violenta e triste della Missione di Georgia. “Era il primo gennaio 1845 quando i nostri missionari furono cacciati dalla Georgia. Il modo con cui vennero espulsi fu barbaro e straziante…” (Clemente da Terzorio, Missioni dei Cappuccini, vol. VII, pag 10).
Prefetto della Missione di Georgia era dal 1842 il p. Damiano da Viareggio, e fu quindi lui ad opporre con forza e dignità le ultime resistenze ai governanti russi che con la conquista della Georgia si proposero di espellere tutti i missionari cappuccini.
Lo dovettero prelevare dal suo convento con la forza. E così fu per tutti i missionari che insieme al p. Damiano furono condotti al confine della Turchia “per ritrovare tra i maomettani quell’asilo ed ospitalità che ci veniva sì barbaramente negata dai cristiani moscoviti” (Lettera di p. Damiano, in Clemente da Terzorio, ibidem, pag. 345).
La missione dei Cappuccini in Georgia era stata eretta con un decreto della S. Sede il 24 settembre del 1661 e la prima spedizione di missionari si componeva di sei sacerdoti e due fratelli laici. Li guidava come Prefetto p. Bonaventura da Sorrento, già missionario nel Congo, uomo capace, che però, mentre si recava a Tiblisi, capitale della Georgia, cadde in un fiume e vi morì, battendo il capo contro un masso.
Tra disavventure varie arrivarono a Tiblisi solo in quattro, di otto che erano partiti, si era nel 1663. Da quell’anno la missine, con alterne vicende, ma con ottimi risultati, aveva progredito sino appunto nel 1845, quando i Russi li avevano cacciati in malo modo.
Dopo 182 anni di permanenza, i cappuccini uscivano dalla Georgia e sbarcavano a Trebisonda, sul Mar Nero, in attesa di nuove disposizioni da parte della S. Sede. Erano 8 Cappuccini: oltre al Prefetto, il detto p. Damiano, ci piace segnalare due Cappuccini della nostra Regione cioè p. Filippo da Bologna e p. Bernardo da Bologna.
Per buona sorte di quei frati, il Console di Francia, che come abbiamo visto nei precedenti articoli fungeva da protettore dei cristiani e della Missini d’Oriente, era “uomo di cuore retto e generoso” e si prese cura di loro, giunti senza soldi e senza niente.
Egli li assistette nei primi mesi del loro soggiorno (erano giunti in pieno inverno) finchè il 13 marzo giunsero le disposizioni della S. Sede, la quale ordinava a p. Damiano di rimanere a Trebisonda per aprire là una Missione, trattenendo i frati che gli parevano necessari e mandando gli altri a Costantinopoli per incrementare quella nostra presenza.
P. Damiano ne mandò due a Costantinopoli e trattenne gli altri con sè per iniziare la sua avventura, sempre mantenendo segrete speranze di poter rientrare in Georgia. In tutto a Trebisonda rimasero perciò 6 Cappuccini tra i quali due bolognesi di cui sopra.
La città di Trebisonda, che a quel tempo faceva 34.500 abitanti, di cui 30.000 turchi e gli altri cristiani di diverse chiese (2.500 greco ortodossi, 1.400 armeno-ortodossi, 500 armeno-cattolici) contava pochi cattolici latini. “I cattolici di rito latino non giungono ai cento individui; se non che vi sono quasi sempre un gran numero di viaggiatori che professano la nostra santissima religione” (Lettera di p. Damiano, Ibidem, pag. 357).
Nel marzo del 1846 si restaura una vecchia casa comperata con un sussidio della S.Sede per farne un convento e vi si adatta una cappella nella stanza più larga, quivi cominciano a celebrare i santi misteri e ad accoglirvi i cattolici latini della città.
“ Tutti facevano a gara per offrire ai Missionari dei doni per la chiesa. Lo stesso p. Damiano ci riferisce che il Console russo offerse una grande lampada d’argento, la madre del Console belga diede un vassoio dello stesso metallo, la sposa del Console francese un bellissimo cuscino ricamato in oro, per servire da leggile, e lo sposo di lei aspettava da Parigi candelieri, fiori ed un apparato liturgico intero. Il Console britannico aveva promesso di far venire da Malta vari addobbi sacri. Un francese un ciborio di marmo, con ornati di bronzo dorato; uno sciotto un grande quadro di S. Antonio da Padova con cornice dorata.
Mancava solo il firmano della Sublime Porta, indispensabile al riconoscimento legale della cappella e del’Ospizio” (Ibidem, pagg. 359-360).
Col proseguire del tempo l’intrepido p. Damiano inviò un frate nella vicina cittadina di Samsun “presso il sig. De Mattei, agente dei vapori austriaci della Compagnia del Lloyd” (Ibidem, pag. 361). Quivi vi erano 25 cattolici latini e altrettanti di rito armeno senza sacerdoti. Altri cattolici (armeni) erano in alcuni villaggi vicini. C’era un buon campo di apostolato.
“Quanta poi fosse la consolazione, che provarono quei poveri cattolici nel trovarsi in istato di essere spiritualmente aiutati da un sacerdote quando ne erano affatto privi, è cosa da non potersi significare. Solo dirò, che durante la prima messa a cui ebbero la bella sorte di assistere, non fecero altro che spargere lagrime di gioia, e ringraziar il Signore con tanto senso di dolce tenerezza, che a quello spettacolo non potei a meno di lagrimare anch’io” (Ibidem, pagg. 361-362).
Poco dopo p. Damiano aprì una casa anche a Sinope incontrandovi però una forte opposizione degli “scismatici” (cristiani ortodossi).
La presenza dei Cappuccini era fortemente ostacolata, quando, un terribile attacco di colera, scoppiato nel 1847-48, portò grande strage in quella regione. Proprio questa circostanza in cui i Cappuccini si prodigarono senza risparmarsi per assistere tutti quei colerosi, suscitò ammirazione e stima da parte della popolazione.
Vi lasciò la vita anche un frate di Bologna, un certo p. Carlo da Castel S. Pietro, vittima del suo servizio ai colerosi. Ma da allora la stima della gente fu assicurata e p. Damiano così potè scrivere: ”non solo si è affatto calmato il sussurro del malcontento, che si era quivi medesimo suscitato fra le diverse sette sul principio del nostro stabilimento; ma di più cominciano queste a darci patenti segni di rispetto e confidenza… per cui non cessano di pregarmi di annettere i loro figliuoli alla nostra scuola, e già nello spazio di due settimane vi abbiamo ricevuto quattro greci e sette armeni, fra i quali si trovano i figli dei capi delle due nazioni” (Ibidem, pag. 366).
Come si vede da queste righe lo stile dei Cappuccini era lo stesso visto a Costantinopoli e altrove, dopo aver aperto la Chiesa si mirava alla formazione e istruzione dei ragazzi, aprendo delle scuole, cosa tanto gradita alle famiglie data la insufficienza di istruzione e di scuole in questi luogh
Cartolina dell’epoca. Dall’alto: 1) convento dei Cappuccini a Trebisonda. 2) Frati in pausa di riposo nella casa di campagna di Khotz 3) la facciata della chiesa e il convento sempre di Trabzon.
i così disagiati. Attorno alle chiese di Trebisonda, Sinope e Samsun, dopo la scuola maschile sorse la scuola femminile, cosa assai più rara in quei posti, con l’aiuto di suore fatte venire dalla Francia. Il successo di quell’attività fu enorme e dalle cittadine e villaggi vicini giungevano numerose richieste di avere i Cappuccini.
Tutto questo però necessitava di nuovo personale e di aiuti economici. P. Damiano inviò allora in Italia p. Filippo da Bologna, per cercare aiuto e fare un po’ di questua onde provvedere alle più urgenti necessità della Missione.
P. Filippo cercò aiuti economiici in Italia e anche per l’Europa, rientrando quindi a Trebisonda con le offerte raccolte. Al ritorno trovò p. Damiano in uno stato di salute pietoso. Egli per ben due volte aveva scritto alla Congregazione di Propaganda Fide di essere esonerato dalla carica di Prefetto, proprio a causa della sua salute mal ridotta.
Finalmente nel 1852 la sua rinuncia fu accettata e p. Filippo da Bologna gli successe nella carica di Prefetto, mentre p. Damiano rientrava nella sua Provincia religiosa di Lucca.
Colà ripresosi in salute dopo sei mesi, fu inviato dalla S. Sede di nuovo in missione, però ad Aleppo in Siria, come Prefetto Apostolico, e anche là aprì ben cinque nuove Missioni. Dalla Siria fu poi spedito come visitatore apostolico in America latina ove morì nel Panamà, il 22 febbraio del 1867. Davvero un uomo infaticabile!
P. Filippo da Bologna continuò l’opera di espansione del suo predecessore e la prima nuova residenza da lui aperta fu ad Erzurum, all’interno della Turchia al centro di un vasto altipiano a 1800 m. di altezza, una cittadina importante perché sulle principali vie carovaniere che andavano verso l’est della Turchia, e verso la Persia.
A quel tempo Erzurum aveva circa 60.000 abitanti, di cui buona parte erano armeni.
P. Filippo vi si recò nel 1852, accompagnato da p. Emilio da Morrovalle.
“Ora avvenne che gli abitanti di Erzurum, appena intesero della prossima venuta dei Cappuccini nella loro città, si misero tosto in moto per festeggiare l’arrivo dei Messi del Signore. Una spendida cavalcata composta da notabili del paese andò loro incontro e fece corona ai missionari, che in mezzo ad essa entrarono quasi trionfalmente in Erzurum; e ricevettero gli omaggi deferenti non solo di tutta la comunità cattolica, ma anche del Vescovo armeno cattolico, Monsignore Giuseppe Haggi” (Ibidem, pag. 372).
Malgrado la solenne accoglienza non fu facile per i due frati trovare casa. In loro soccorso si mosse il Vice-console francese che “comprò a nome suo lo stabile (una vecchia casa con una cappella) che poi passò ai nostri Missionari, con proteste e gran malcontento degli Armeni la cappella fu convertita in chiesa, la vecchia casa in ospizio, a cui fu aggiunta una scuola; e la Missione fu aperta in Erzurum con grande consolazione dei nostri Padri, in quell’anno stesso (1852)“ (Ibidem, pagg. 373-374).
Il Prefetto p. Filippo era instancabile. Nel 1856 accettò la Missione di Varna su proposta del Delegato Apostolico di Costantinopoli, al di là del Mar Nero sulla costa bulgaro-rumena, allora sotto l’Impero Ottomano, ed egli oltre a quella impiantò missioni a Burgas (1857) e, tre anni dopo, a Costanza (1860). Missioni che dopo la guerra turco-bulgara furono staccate e date ai Padri Passionisti, per la parte riguardante la Romania, mentre Burgas fu aggregato alle missioni dei Cappuccini di Filippopoli in Bulgaria.
Sulla costa turca p. Filippo nel 1854 aveva costituito una nuova residenza più ampia a Sinope, essendo la precedente andata distrutta dal bombardamento della flotta russa (1854), con una fiorente scuola per ragazzi,.
A Trebisonda
A Trebisonda, in quello stesso anno, terminò la costruzione del convento, che è sostanzialmente quello che abbiamo ancora oggi. Sempre a Trebisonda nel 1869 fondò anche un orfanotrofio “che mise sotto la direzione delle Suore Terziare di S. Francesco” (Ibidem pag 378) e nello stesso anno gettava le fondamenta della nuova grande chiesa che fu poi inaugurata il 19 marzo del 1874.
Ormai stanco e acciaccato dagli anni, nel 1881 chiese ai Superiori di essere sostituito nella carica di Prefetto, e infatti fu sostituito da p. Eugenio da Modica (frate della Provincia di Siracusa) che già dal 1869 lavorava con zelo in quella missione sotto la direzione di p. Filippo. Questi non rientrò in provincia, ma rimase nella sua cara missione, ove morì il 10 giugno del 1889, compianto da tutti.
Questo insigne frate era stato sei anni missionario in Georgia e quarantaquattro nella missione di Trebisonda da lui diretta per quasi trent’anni.
“In tutto il suo lungo apostolato si distinse talmente per pietà, per dottrina e per intemerità di costumi, che era da tutti amato. Egli si vedeva in continuo moto per rialzare le condizioni di quelle popolazioni, aprendo scuole ed asili di carità, cappelle, chiese ed ospizi” (Ibidem, pag. 381).
Il nuovo Prefetto, p. Eugenio da Modica, seguì la linea del suo predecessore, consolidando la presenza e le case dei vari luoghi e aprendo nuove stazioni “missionarie”.
Costruì la chiesa di Samsun, ricostruì quella di Sinope, dopo un terribile incendio che l’aveva quasi totalmente distrutta, aprì una nuova missione a Kerasonda (oggi Ghiresun), con cappella e residenze per i frati (1897), riparò la chiesa di Erzurum, e costruì una nuova scuola parrocchiale a Trebisonda con il nome di S. Francesco d’Assisi.
Nel frattempo i vecchi missionari man mano venivano meno e nuovi frati arrivavano dall’Italia. Tra i primi ci piace ricordare, perchè della Regione Emiliana, fr. Luca da Cavazzoli, della Provincia di Parma, fratello laico, amato e stimato, morto nel 1887 dopo 25 anni di missione sul Mar Nero. “Della stessa provincia di Parma, prima del compianto fra Luca (1876-1877) morirono pure i pp. Luigi e Giancrisostomo, ambedue di Piacenza; il primo di tifo a Varna, il secondo a Erzurum” (Ibidem, pag. 386).
Un terribile terremoto nel novembre del 1901 portò alla completa distruzione della città di Erzurum. Anche la chiesa e il convento con la scuola dei Cappuccini erano crollati.
Si dovrette ricostruire tutto e la nuova chiesa fu inaugurata il 4 ottobre 1903.
I superiori generali inviarono intanto sei nuovi missionari, tutti dell’Istituto Apostolico d’Oriente, fra di essi (1905) c’era anche il famoso p. Cirillo Zohrabian da Erzurum.
Egli era nativo di Erzurum e la sua vocazione era nata da fanciullo frequentando la chiesa dei Cappuccini di quella città.
Di famiglia armeno cattolica entrò da ragazzo nel Seminario di S. Stefano a Yeşilköy, presso Istanbul, percorse lodevolmente tutto l’iter formativo sino a diventare sacerdote il 12 maggio del 1904.
Fu quindi destinato alla Missione di Erzurum dove fondò una scuola e fu al centro dell’immane tragedia della missione armena degli anni a seguire.
A Trebisonda dal 1909 egli assistette ed aiutò per quantò potè i greci scacciati dai loro villaggi, finchè anch’egli fu espulso da quella città nel 1923. Giunto a Costantinopoli fu arrestato, torturato e condannato a morte.
La tortura subita era chiamata “palahàn„ si davano cioè dei colpi sulle piante dei piedi con nervi di bue. Per cinque volte subì tale tormento e ne rimase storpio per il resto della vita.
Io che lo conobbi direttamente da giovane frate, lo ricordo ancora, nella sua figura minuta che camminava appoggiando appena i piedi, come se camminasse sui carboni accesi.
Salvato dalla condanna a morte con l’aiuto di un frate domenicano, fu però esiliato in perpetuo dalla Turchia.
Sbarcato ad Atene e poi inviato a Corfù assistette per anni i profughi armeni, quindi fu fatto Arcivescovo degli armeni della diaspora. Morì in concetto di santità a Palermo nel 1971.
Nel 1911 p. Eugenio da Modica, Prefetto della Missione di Trebisonda, ormai vecchio e malato, con licenza dei superiori, rientrava nella sua Provincia di Siracusa, dopo 43 anni di missione, e là moriva il 26 marzo del 1917, da tutti amato e compianto.
Come suo successore fu nominato p. Lorenzo da Montemarciano, alunno dell’Istituto Apostolico d’Oriente, che era a Buggià (Buca) quale professore di Filosofia per i giovani frati studenti.
Ricevuta la nomina, subito partì per Trebisonda dove erano frati suoi ex alunni, che lo accolsero con somma gioia.
Egli visitò tutte le case della Missione, e volle recarsi anche in Georgia per visitare l’antica missione dei Cappuccini con la speranza di rientrarvi. Così egli “potè constatare, come egli stesso ebbe a scrivere, che in mezzo a quelle popolazioni ancora era viva la memoria dei Missionari Cappuccini e ardente il desiderio di riaverli a loro guida e pastori. Più volte, il buon Padre, tentò di ristabilire in Georgia la Missione cappuccina; ma il governo russo oppose sempre forte resistenza” (Ibidem, pag. 401).
Egli intanto si adoperò per consolidare la presenza dei Cappuccini attorno a Trebisonda. Quando scoppiò la prima guerra mondiale, nella quale, come sappiamo, la Turchia era a fianco della Germania e perciò contro Italia e Francia. “Egli però non si perdette d’animo; in quegli anni di profonde calamità, si fece tutto a tutti, aiutando e sollevando ogni ceto di persone, senza distinzione di religione e di nazionalità. Aprì le porte del nostro convento a centinaia di infelici, ove per mesi e mesi trovarono ricovero, pane e sicurezza.
La chiesa dei Cappuccini di Giresun (Cherasonda) come è anche oggi.
Sebbene italiano, e quindi suddito di una nazione nemica, pure col suo spirito di carità e di abnegazione, seppe così bene conciliarsi l’ammirazione e il rispetto delle autorità locali, che queste gli evitarono il dispiacere di vedersi esiliato dal luogo. A lui tutto era concesso ed esercitava il sacro ministero con ampia libertà” (Ibidem, pag. 401-402).
Terminata la guerra, p. Lorenzo si adoperò per riordinare la vita della Missione, che resse fino al 1922 (pur con una pausa di due anni 1920/22 in cui fu a Smirne come amministratore Apostolico di quella diocesi) quando, rientrato da pochi mesi a Trebisonda, fu colto da grave malattia. Trasferitosi, per potersi meglio curare a S. Stefano di Istanbul, le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente e il 17 ottobre di quell’anno, munito dei Santi Sacramenti, morì in quel convento.
Morto p. Lorenzo, scoppiò la guerra turco-greca con tutti gli eventi che conosciamo.
P. Clemente da Terzorio, nel suo libro di storia delle Missioni, nel 1925 così presentava la situazione: “dopo 10 anni di guerre e di trambusti la Missione di Trebsonda è rimasta con 11 Missionari, tutti alunni dell’Istituto d’Oriente. Le residenze si riducono a otto, cioè, Erzurum, Trebisonda, Ordù, Samsun, Sinope, Inebolu, Kerassonda e S. Stefano presso Costantinopoli.
Le stazioni però occupate sono soltanto quattro, cioè Trebisonda, Kerassonda, Samsum e S. Stefano” (Ibidem, pag. 403).
Poco dopo così concludeva: “la Missione di Trebisonda, come tutte le altre della Turchia asiatica, dopo le terribili guerre, sono rimaste come un campo devastato dalla grandine”… “Ora che il turbine è passato, si preparano a riedificare, aspettando dalle Provincie confratelli e soccorsi per rialzare quelle nostre gloriose Missioni” (Ibidem, pag. 406).
Ed è proprio la Provincia dei Cappuccini di Parma che nel 1927 si rende disponibile a farsi carico della Missione di Trebisonda.
Ma questa è un’altra storia.
Vocazione cappuccina di Padre Cirillo Zohrabian
Avevo otto anni quando mia nonna materna Nazelì Tatariàn, fervente terziaria francescana, la domenica fra il 16 e il 23 luglio 1888 mi condusse a sentir messa dai Padri Cappuccini di Erzurùm, mia città natale. All’uscita di chiesa ci venne incontro il P. Domenico da Castronovo di Sicilia, il quale, dopo essersi intrattenuto con la nonna a parlare di affari del Terzo Ordine, rivolti gli occhi a me, disse: «Che diventerà questo piccino? ».
«Questo cattivello si farà cappuccino», rispose la nonna.
E’ troppo piccolo per essere cappuccino», replicò il Padre. Poi mi accarezzò e soggiunse: «Caro figliolo, devi ancora mangiar molto pane prima di diventare cappuccino. Per ora non se ne parli! Ci rivedremo fra tre anni».
Fu quello il momento che il Signore mi mise in cuore un vivo affetto all’ordine di San Francesco. Da quel giorno frequentai la chiesa della missione e in brevissimo tempo imparai a servire la messa di rito latino. E…
I tre anni richiesti dal P. Domenico erano già passati.
Nel mese di maggio del 1893 venne in sacra visita il M.R.P. Eugenio da Modica, prefetto apostolico della missione del Mar Nero. Da tre anni frequentavo assiduamente i Cappuccini e mi ero guadagnata la piena fiducia di Fra Carmelo da Ragusa, il quale mi aveva affidato la cura della chiesa e della sacrestia e la pulizia del convento e mi mandava in piazza per le piccole compere giornaliere. Per queste mie attività il P. Prefetto mi definì coadiutore di Fra Carmelo e quando gli manifestai timidamente il desiderio di farmi cappuccino non me lo fece ripetere due volte. Appena terminata la sacra visita partimmo per Trebisonda e fui posto nell’orfanotrofio delle Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione per un periodo di prova.
L’anno seguente, nell’approssimarsi della festa del Padre S. Francesco, fui mandato nel seminario serafico dell’Istituto Apostolico d’Oriente in S. Stefano. Là compii il corso ginnasiale e quattro anni dopo, il 14 luglio 1898, entrai nel noviziato, ricevendo l’abito dalle mani del M.R.P. Lino da Sterzing. commissario generale dell’Istituto (Cirillo G. Zohrabian, Memorie di Vita Missionaria, Palermo 1965, pagg. 9-11).