Il sito di quest’antica città, collocata nella zona montagnosa della Licia e già ricordata in testi hittiti, fu portato alla luce tra il 1884 e il 1895 da archeologi francesi e austriaci.
Risale al IV secolo la costruzione di una basilica cristiana a est dell’agorà inferiore su un precedente luogo sacro. I resti della città antica vanno dal III sec a.C. sino al periodo bizantino. Quanto rimane visibile lascia pensare a un vivace centro cittadino, anzi costituisce una delle testimonianze meglio conservate della diffusione della vita civica in età ellenistica. Verso il 200 d.C. gli abitanti di Oenoanda possedevano agorà, porticati, un bel teatro, delle terme, un tempio dedicato a Leto, principale divinità della Licia anatolica e un sacrario dedicato ad Asclepio. Risale al IV secolo la costruzione di una basilica cristiana a est dell’agorà inferiore su un precedente luogo sacro. Ci sono noti i nomi di quattro vescovi di Oenoanda, il primo dei quali intervenne al concilio di Costantinopoli del 381.
L’importanza di questo città è tuttavia legata a un ricco cittadino, di nome Diogene, presumibilmente vissuto nel II sec. d.C. Convertitosi alla filosofia epicurea, nel centro cittadino fece incidere su lapidi un condensato della filosofia di Epicuro. Le iscrizioni, lunghe circa 80 metri e alte 3 contengono circa 25.000 parole e, poste com’erano ad altezza d’uomo, costituivano un vero e proprio libro murale. Un ricco cittadino, di nome Diogene… Fece incidere su lapidi un condensato della filosofia di Epicuro Era concepito come un libro per tutti, aperto a ogni uomo. Come vi si legge nel frammento XXIV « noi abbiamo fatto questo anche per i cosiddetti stranieri che, in realtà non sono tali: perché, secondo ogni singola suddivisione della terra, ognuno ha la sua patria, ma rispetto all’interno complesso di questo mondo, unica patria di tutti è tutta la terra e unica dimora è il mondo ».Al visitatore di Oenoanda che si accostava al libro murale Diogene chiedeva anzitutto di non avvicinarsi allo scritto distrattamente, ossia di dare la piena disponibilità spirituale. Contro chi accusava gli epicurei di empietà e ateismo,—accusa mossa anche ai cristiani – egli affermava: « Noi non abbattiamo gli dèi, ma gli altri » (fram. XII). In rapporto all’etica precisava poi che la vita è sempre, in quanto tale e finché perdura, senza eccezioni, il bene assoluto: basta viverla come si deve, ossia usando i « farmaci della salvezza » per essere sempre felici (G. Reale).
Leggendo i frammenti di Aenoanda si evince l’impressione che il paganesimo si stia orientando a riconoscere che tutte le religioni confluiscono nei medesimi temi. Leggendo i frammenti di Oenoanda si evince l’impressione che il paganesimo si stia orientando a riconoscere che tutte le religioni confluiscono nei medesimi temi. Si parla di Dio in termini di teologia negativa, cominciando a dire ciò che Egli non è: un dio « che non riceve nomi, dai molti nomi… », incrollabile, onniveggente, signore degli angeli, termini tutti che sia Cristiani che Ebrei avrebbero potuto ben comprendere. Disgraziatamente, tra il 260 e il 270 i cittadini di Oenoanda iniziarono a smembrare il libro murale, utillizzandone le pietre per ricostruire le mura cittadina. In buona parte è ora riportato alla luce e non cessa ancora di interessare gli studiosi.