Situata nella fertile valle dell’Oronte a 30 km dal mare, Antiochia fu fondata da Seleuco I Nicatore († 282 a.C.) nel 300 a.C. come capitale del regno siriano dei Seleucidi.
Fu fondata da Seleuco I Nicatore nel 300 a.C. come capitale del regno siriano dei Seleucidi. Essa assunse presto una grande importanza commerciale grazie al porto di Seleucia e al suo sito, posto all’incrocio delle vie Eufrate- Mediterraneo e Siria-Asia Minore divenendo la più grande città dell’impero romano dopo Roma e Alessandria con i suoi circa 300.000 abitanti oltre ai circa 200.000 schiavi.
Quando nel 64 a.C. Pompeo ridusse la Siria a provincia romana, Antiochia ne divenne capitale e sede della legione. Il governo romano ingrandì il porto di Seleucia e migliorò la rete stradale, di modo che la città accrebbe la sua importanza divenendo il primo centro commerciale e politico del Medio Oriente. Quando nel 64 a.C. Pompeo ridusse la Siria a provincia romana, Antiochia ne divenne capitale e sede della legione.
La diaspora ebraica, da lungo tempo presente in città, in modo assai consistente, visse una larga esperienza missionaria presso i pagani. Questi, attratti dal monoteismo e dall’etica yahwista, aderirono numerosi al giudaismo, sia come proseliti che come « timorati di Dio », ovvero come pagani inseriti all’interno del popolo eletto mediante la circoncisione e la piena osservanza della legge o come semplici simpatizzanti. Il clima culturale aperto e l’ordine pubblico che vi regnava grazie all’amministrazione romana, impedirono agli ebrei locali quel fanatismo chiuso e aggressivo che si riscontra altrove, ma altresì rigurgiti di antiebraismo.
Centro intensamente cosmopolita,Antiochia fu la città in cui fiorì un profondo contatto con la civiltà ellenistica e le culture e le religioni misteriche orientali. Centro intensamente cosmopolita, Antiochia fu la città in cui fiorì un profondo contatto con la civiltà ellenistica e le culture e le religioni misteriche orientali. Queste vi avevano largamente divulgato le proprie dottrine di salvezza e di rigenerazione, unite alle promesse di vita ultraterrena. Come frutto di questa lunga simbiosi, i cittadini antiocheni del I sec. d.C. si distinguevano per uno spirito intellettualmente eclettico e per uno spiccato interesse verso la ricerca religiosa, condizione ideale, che spiega la simpatia con cui fu accolta la predicazione cristiana al suo primo giungere in Antiochia, grande centro extrapalestinese della primitiva diffusione del cristianesimo. La sua evangelizzazione avvenne per opera dei giudeo-cristiani espulsi da Gerusalemme dopo la morte di Stefano (34 d.C. ca., At 8,1-4; 11,19-21). Di questi, alcuni, originari di Cipro e di Cirene, si rivolsero decisamente ai pagani, mentre gli altri si limitarono alla cerchia dei giudei locali e il numero delle conversioni fu subito abbondante.
La Chiesa di Antiochia fu così pluriforme nella sua espressione culturale fin dal suo sorgere e ciò ne spiega la storia successiva. La Chiesa di Antiochia fu pluriforme nella sua espressione culturale fin dal suo sorgere e ciò ne spiega la storia successiva. La notizia della sua nascita giunse tosto alla Chiesa-madre di Gerusalemme, che inviò Barnaba, fidato giudeo convertito di Cipro, a prendere visione della situazione. Giuntovi e constatato l’ambiente favorevole, volle proseguire l’opera apostolica avviata. Allo scopo andò a cercare in Cilicia l’aiuto di Paolo di Tarso, lo portò con sé ed entrambi, per un anno intero, « istruirono molta gente ». Gli Atti aggiungono che « adAntiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani » (At 11,22-26). All’importanza numerica della comunità era congiunta l’eminente statura spirituale delle persone che la dirigevano.Atti 13,1, nell’enumerarle, le qualifica come profeti e dottori. Erano Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirene, Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca e Paolo.
La Comunità antiochena rimarrà per Paolo la Chiesa di appartenenza. Infatti è da qui che egli parte la prima volta in missione con Barnaba (At 13,2-3) e vi fa ritorno (At 14,26-28);. « ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani ». lo stesso avverrà per il suo secondo viaggio (At 15,36-40 ; 18,18-22) e da qui inizierà ancora il terzo (At 18,23). Dagli Atti sappiamo pure che al tempo della carestia, che colpì la Palestina verso il 46 d.C., la Chiesa di Antiochia mandò Barnaba e Paolo a portare aiuti economici ai fratelli di Gerusalemme(At 11,29-30). È ad Antiochia che storicamente sorse e scoppiò il problema più grave e decisivo sulla vera identità del cristianesimo, relativo ai rapporti che intercorrevano fra la nuova fede e il giudaismo.
Ci si chiedeva, in altre parole, se per essere cristiani si doveva continuare ad assumere la circoncisione con tutte le pratiche religiose giudaiche connesse.
È ad Antiochia che sorse il problema più grave e decisivo sulla vera identità del cristianesimo, relativo ai rapporti che intercorrevano fra la nuova fede e il giudaismo. Nel caso affermativo il cristianesimo si sarebbe dovuto concepire solo come la forma più perfetta della religione giudaica e non come una realtà radicalmente nuova. Ora, ad Antiochia, Paolo e Barnaba non avevano imposto la circoncisione ai pagani convertiti, mentre alcuni giudeo-cristiani venuti dalla Palestina ne sostenevano la necessità. Data la ferma posizione di Paolo e di Barnaba, nacque un profondo turbamento nella comunità e si accese una tale discussione, al punto di avvertire il bisogno « che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione » (At 15,2). Il problema originò il cosiddetto concilio apostolico di Gerusalemme (49 d.C. ca.), che, nel dar ragione a Paolo e Barnaba, dichiarò i convertiti dal paganesimo esenti dalla legge mosaica (At 15,5-29; Gal 2,1-10). In connessione con questo problema siamo informati dell’andata di Pietro ad Antiochia. Ivi l’Apostolo si comportava secondo la libertà del Vangelo, frequentando liberamente i cristiani non circoncisi venuti dal paganesimo. Il problema originò il cosiddetto « concilio apostolico di Gerusalemme ».
Ma quando giunsero alcuni dalla parte di Giacomo (Gal 2,12), egli, intimorito da costoro, cambiò condotta e frequentava solo i fedeli convertiti dal giudaismo, evitando i contatti con l’altra frazione della comunità (Gal 2,12). Questo atteggiamento poteva avere delle serie conseguenze sulla retta comprensione della fede cristiana. Infatti anche gli altri giudeo- cristiani « lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia » (Gal 2,13). Paolo, intuito il pericolo, redarguì energicamente il comportamento di Pietro in presenza di tutti opponendosi a lui a viso aperto, perché evidentemente aveva torto (Gal 2,11)Siamo anche informati dell’andata di Pietro ad Antiochia.
Non sappiamo altro della presenza di Pietro ad Antiochia né quanto vi rimase. La tradizione successiva vuole che egli sia stato il primo capo della Chiesa locale, comunque fu certamente il primo dei Dodici a visitare la città. Sembra che anche l’apostolo Giovanni sia passato ad Antiochia, ma il fatto non è confermato dal Nuovo Testamento.
Se la storia del cristianesimo nella Celesiria ci è quasi sconosciuta per i primi tre secoli, per Antiochia possediamo invece un insieme di dati che illuminano la storia della comunità cristiana di questa metropoli.
La tradizione successiva vuole che egli sia stato il primo capo della Chiesa locale, comunque fu certamente il primo dei Dodici a visitare la città Ci è noto l’elenco dei suoi vescovi, primo dei quali — se si eccettua Pietro che la tradizione pone quale primo capo della Chiesa d’Antiochia—fu Evodio.Al secondo posto figura Ignazio, martirizzato a Roma intorno al 116. Vittima di una persecuzione causata forse da un terribile terremoto che devastò Antiochia il 13 dicembre del 115, Ignazio fu trasferito a Roma per esservi ucciso. Lungo il percorso incontrò diverse comunità cristiane alle quali indirizzò successivamente delle lettere. Da esse si coglie un quadro abbastanza omogeneo delle Chiese in questo tempo. Le comunità cristiane si trovano a diretto confronto con Giudeo-Cristiani che predicano il ritorno alla osservanza della legge
La figura e l’opera di Cristo sono pericolosamente messe in questione da una forma di docetismo che nega l’Incarnazione. Sembra che anche l’apostolo Giovanni sia passato ad Antiochia, ma il fatto non è confermato dal Nuovo Testamento. All’interno delle Chiese si verificano scismi e divisioni che portano, per conseguenza, ad accentuare la figura del vescovo come principio visibile dell’unità, facilitando così il passaggio a una conduzione della Chiesa di tipo monarchico (episcopato monarchico) non affermatasi ancora ovunque. Nelle lettere del vescovo d’Antiochia non mancano espressioni di alta mistica. L’ideale che Ignazio vive e che propone ai destinatari dei suoi scritti è la sequela di Cristo fino al martirio: un’imitazione finalizzata all’unione con il suo Signore. L’avvenuto martirio a Roma ha coronato quest’aspirazione del vescovo di Antiochia.
La gnosi paventata da Ignazio e che già nei primi decenni del II secolo aveva creato problemi alla Chiesa d’Antiochia, prese vigore per opera di Saturnile e di Menandro. L’ideale che Ignazio, vescovo di Antiochia, propone ai destinatari dei suoi scritti è la sequela di Cristo fino al martirio.Quest’ultimo — stando alla testimonianza di Giustino (cfr. 1ª Apologia 26,4) — proprio adAntiochia ingannò parecchi con i suoi prodigi.Ancora nel II secolo in questa città l’apologista Taziano il Siro, discepolo a Roma di Giustino, introdusse o rafforzò forme radicali di un encratismo che predicava il rifiuto delle nozze e della procreazione come pure l’astensione dalla carne e dal vino. Intorno al 180 la sede episcopale d’Antiochia fu occupata da Teofilo. Convertitosi adulto al cristianesimo, scrisse i tre libri Ad Autolycum, un’opera nella quale, accanto alla critica della mitologia pagana, sono ricercati i punti di convergenza tra la teodicea pagana e la fede cristiana in Dio
Nell’intento apologetico di quest’opera, Teofilo evita di menzionare il nome di Cristo per non urtare la suscettibilità dei suoi lettori pagani, non ben disposti a credere che Dio abbia un figlio incarnatosi e crocifisso. . Nella serie dei vescovi antiocheni spicca il nome di Babila, martirizzato durante la persecuzione di Decio. Dopo Teofilo, nella serie dei vescovi antiocheni spicca il nome di Babila, martirizzato durante la persecuzione di Decio (251) e noto per aver esigito dall’imperatore cristiano Filippo l’Arabo (244- 249) una confessione pubblica prima d’essere ammesso alla liturgia della veglia pasquale (Eusebio, H.E.,VI,34) [1]. Nel tempo in cui Antiochia cadde sotto il potere del regno di Palmira (258-272), vescovo della città divenne Paolo di Samosata che, nel contempo, era un alto funzionario della regina Zenobia. La sua condotta e la sua dottrina di tipo monarchico adozionista indusse a convocare un concilio riunitosi adAntiochia nel 268. In esso Paolo fu deposto e sollecitato ad abbandonare gli edifici ecclesiastici che occupava. Una tale ingiunzione non servì a nulla dal momento che Paolo rimase in essi sino alla disfatta del regno di Palmira per opera dei Romani. Soltanto allora, a seguito di un ricorso fatto dai cattolici all’imperatore Aureliano, egli fu espulso dalla forza pubblica. La condanna del monarchianesimo di Paolo di Antiochia portò come effetto all’emergere d’una tendenza teologica contrapposta: una forma di subordinazionismo radicale che considerava Cristo in quanto Figlio di Dio inferiore al Padre.
Nel tempo in cui Antiochia cadde sotto il potere del regno di Palmira vescovo della città divenne Paolo di Samosata che era un alto funzionario della regina Zenobia.
Anche questo orientamento dottrinale venne condannato e a farne le spese fu questa volta il presbitero Luciano d’Antiochia, maestro diArio e assertore d’un indirizzo esegetico letteralista in opposizione a quello allegorista della scuola alessandrina. Per lungo tempo s’è pensato che Luciano fosse il fondatore della cosiddetta scuola antiochena, ma il poco che sappiamo di lui non permette di avvallare una tale opinione. Certo è che nel III-IV secolo adAntiochia emerse — sia per il persistere della cultura asiatica che in reazione all’origenismo alessandrino—una tendenza all’esegesi letteralista e, in rapporto a Cristo, una piena valorizzazione della sua componente umana. Rappresentante di questo duplice orientamento fu Eustazio, vescovo di Antiochia (323-330). Fortemente polemico nei confrontidi Origene che accusò di aver allegorizzato tutta la Scrittura e prudentemente vicino alle posizioni dottrinali di Paolo di Samosata (monarchianesimo moderato), Eustazio ebbe un ruolo di primo piano nella condanna di Ario a Nicea (325). Ad Antiochia emerse una tendenza all’esegesi letteralista e, in rapporto a Cristo, una piena valorizzazione della sua componente umana. Rappresentante di questo orientamento fu Eustazio, vescovo di Antiochia
Eppure, con il successivo prevalere dell’orientamento antiniceno, in un sinodo tenutosi ad Antiochia nel 327 egli stesso venne posto sotto accusa, anche se non per motivi dottrinali (immoralità? eccesso di potere?). Deposto, fu esiliato da Costantino a Traianopoli nella Tracia (330). La scomparsa di Eustazio trovò forte opposizione in un gruppo di suoi sostenitori che, non accogliendo i nuovi vescovi filoariani, crearono una comunità scismatica a capo della quale, qualche anno più tardi, fu scelto quale vescovo il niceno Paolino (362) sostenuto dalla Chiesa d’Alessandria e da quelle d’Occidente.
Lo scisma in atto non cessò neppure quando il vescovo d’Antiochia, Melezio, che godeva del sostegno delle Chiese orientali antiariane, tra il 360 e il 363 si accostò alla teologia nicena. Fu soltanto con la morte dei due contendenti che lo scisma antiocheno—dietro il quale si coglie un dissenso dottrinale-politico tra Oriente e Occidente — si compose pacificamente (398 e, in modo definitivo, dopo il 413). Tra i sostenitori del vescovo Melezio meritano d’essere ricordati alcuni illustri teologi del tempo. Primo tra essi Diodoro di Tarso. Nativo diAntiochia e presbitero di questa città, fu in seguito eletto vescovo di Tarso (378) ed ebbe un ruolo di rilievo nel concilio di Costantinopoli (381). Diodoro di Tarso nativo di Antiochia fu in seguito eletto vescovo di Tarso ed ebbe un ruolo di rilievo nel concilio di Costantinopoli. Suoi discepoli furono Teodoro di Mopsuestia e Giovanni Crisostomo.
Ritenuto uno dei precursori di Nestorio, fu indirettamente coinvolto nella condanna di quest’ultimo (concilio di Costantinopoli 553) con la conseguente distruzione dei suoi numerosi scritti. Discepoli di Diodoro, che può essere considerato il vero iniziatore della scuola esegetica antiochena, furono Teodoro di Mopsuestia e Giovanni Crisostomo. Il primo nacque ad Antiochia verso il 350. Divenuto prete verso il 383, fu poi eletto vescovo di Mopsuestia (Cilicia) nel 392. Esponente di punta della scuola antiochena, Teodoro accentuò il ruolo della umanità assunta dal Verbo e la sua capacità autonoma di operare.
Nel contempo egli tentò di salva-guardare al massimo l’unità delle due nature. Da un punto di vista esegetico egli fu certo il rappresentante più qualificato dell’esegesi antiochena contrapposta all’allegorismo della scuola alessandrina. Amico e condiscepolo di Teodoro fu Giovanni Crisostomo, pure nativo di Antiochia (349?). Battezzato adulto, si lasciò dapprima attrarre dalla vita monastica che sei anni più tardi dovette abbandonare per la salute malferma.
Ordinato diacono da Melezio (381) e presbitero dal successore Flaviano (386), per dodici anni Giovanni svolse l’ufficio di predicatore nella Chiesa diAntiochia [2]. Scelto dall’imperatore quale vescovo di Costantinopoli, vi venne consacrato nel 398. Non rimase a lungo a guida di questa Chiesa, poiché nel tentativo di riformare la società cristiana, la corte e il clero, si inimicò l’imperatrice Eudossia, alcuni vescovi e monaci i quali, nel sinodo della Quercia (403), lo posero sotto accusa. Giovanni Crisostomo, nativo di Antiochia, svolse l’ufficio di predicatore nella Chiesa di Antiochia. Fu scelto dall’imperatore quale vescovo di Costantinopoli nel 398 Deposto e poi reintegrato nella sede episcopale, nel 404 fu definitivamente esiliato.
Esaurito dagli stenti e dalle fatiche cui era sottoposto, morì tre anni dopo (407) a Comana, nel Ponto. Più che per apporti dottrinali significativi, la figura di Giovanni Crisostomo emerge per l’attività pastorale e anzitutto per l’impegno della predicazione che lo rivela estremamente sensibile nel cogliere i bisogni della comunità cristiana, i pericoli che la minacciano e gli ideali ai quali incessantemente richiama ciascuno nel suo stato: monaci, chierici, sposati. Per questa ragione le sue omelie offrono un’immagine viva della Chiesa antiochena negli anni che lo videro in essa come predicatore (386-397). In questo tempo si colloca la nascita di un altro grande antiocheno: Teodoreto vescovo di Ciro (393 ca.), ultimo prestigioso teologo della scuola antiochena. Coinvolto nella disputa su Nestorio del quale prese le difese, Teodoreto mise in luce i pericoli inerenti all’orientamento teologico alessandrino e, fondamentalmente, l’insufficiente distinzione dell’umanità dalla divinità in Cristo. Contro Eutiche, nel 447 egli compose un’opera di rilievo (Eranistes = il mendicante) nella quale fornì una chiara confutazione del monofisismo sostenuto dal monaco di Costantinopoli. In questo tempo si colloca la nascita di un altro grande antiocheno: Teodoreto vescovo di Ciro, ultimo prestigioso teologo della scuola antiochena.
Condannato e deposto nel cosiddetto Latrocinio efesino del 449, Teodoreto fu riabilitato al concilio di Calcedonia del 451. Morì nel 466 ca. Suo amico fu Giovanni, verosimilmente nativo diAntiochia e vescovo di questa città dal 428. Personaggio di rilievo, prese posizione a Efeso contro Cirillo d’Alessandria che non attendendo il suo arrivo e quello di altri vescovi, aveva aperto le sedute del concilio, condannando Nestorio (431). Convocato il gruppo dei vescovi orientali che erano giunti con lui, Giovanni indisse un contro sinodo nel quale Cirillo fu dichiarato deposto e scomunicato.
Questi, a sua volta, fece altrettanto. L’ostilità tra i due e tra i vescovi loro legati, si risolse parzialmente allorché Cirillo accettò una formula di fede elaborata da Giovanni e poi ritoccata.
Da quest’ultimo apprendiamo che alla Chiesa patriarcale di Antiochia erano sottoposte dodici province ecclesiastiche con 167 sedi episcopali. Con l’elevazione della Chiesa di Costantinopoli a prima sede dell’Oriente (451), il prestigio di Antiochia risultò un poco adombrato. Suo amico fu Giovanni, verosimilmente nativo di Antiochia e vescovo di questa città dal 428. Personaggio di rilievo, prese posizione a Efeso contro Cirillo d’Alessandria Il concilio di Calcedonia non riuscì a far scomparire il monofisismo che, mescolato anche a motivi d’ordine politico, con l’andar del tempo s’era infiltrato anche ad Antiochia. Proprio qui, negli ultimi decenni del V secolo si susseguirono sulla cattedra episcopale, vescovi fedeli al concilio di Calcedonia (Flaviano, Efrem, Anastasio I e II, Gregorio il Sinaita) e vescovi monofisiti (Pietro il Fullone, Severo). Per il secolo successivo merita d’essere menzionato Giacomo Baradeo († 578) al quale va ricondotta l’origine della sede patriarcale monofisita di Antiochia che da lui prese il nome di Chiesa siro giacobita La presa di Antiochia nel 637 da parte degli Arabi ridusse progressivamente l’importanza politico-religiosa e l’influenza di questo patriarcato.
Soltanto con la vittoria dei Bizantini nel 969 esso ebbe una ripresa al punto che alla vigilia delle crociate, ad Antiochia erano sottoposte ancora 152 sedi vescovili.Questa ripresa non durò a lungo: le successive dominazioni dei Latini (dal 1098) e dei Mamelucchi (dal 1268) ridussero il suo significato. Con l’elevazione della Chiesa di Costantinopoli a prima sede dell’Oriente, il prestigio di Antiochia risultò un poco adombrato. Ai nostri giorniAntiochia è sede titolare di tre patriarcati cattolici: siro cattolico, maronita e greco melchita e di due dissidenti: greco ortodosso e siro-giacobita.