Nell’odierna Sivas, ricca di monumenti risalenti perlopiù alla dominazione selgiuchide (sec. XIII), nulla resta del suo più remoto passato.
Lo sviluppo come anche il benessere economico di cui sempre godette, è da riferire alla sua posizione particolare, punto di convergenza delle principali vie tra il Mar Nero, l’Eufrate e il Mediterraneo. Questa assenza di testimonianze archeologiche trova giustificazione nel fatto che Sebaste fu sempre abitata. Lo sviluppo come anche il benessere economico di cui sempre godette, è da riferire alla sua posizione particolare, punto di convergenza delle principali vie tra il Mar Nero, l’Eufrate e il Mare Mediterraneo. Originariamente inclusa nel regno indipendente di Urartu, Sebaste appartenne poi ai Persiani e in seguito, pur essendo sotto il protettorato romano, fu retta da una dinastia locale. Con la scomparsa di Deiotaro, ultimo re dell’Armenia († 40 a.C.), la regione fu costituita in provincia dell’impero romano, in seguito ripartita ulteriormente in due province.
Sotto Diocleziano Sebaste assurse a metropoli dell’Armenia Prima (fine III secolo) e con Giustiniano (527-565) che ne restaurò le mura, fu eretta a capitale dell’Armenia Seconda. Quantunque da un punto di vista archeologico Sebaste non presenti alcun interesse, non si può dire altrettanto per le memorie cristiane scritte. Da esse apprendiamo che probabile vescovo di Sebaste fu, intorno al 260, un certo Meruzane. Come Eusebio riferisce, Dionigi di Alessandria « scrisse una lettera Sulla penitenza ai fratelli di Armenia che avevano per vescovo Meruzane » (H.E., VI,46,2). In quel tempo 40 soldati appartenenti alla legione Fulminata furono arrestati perché cristiani e posti nell’alternativa di apostatare o di subire la morte. Ora in questo tempo Sebaste era metropoli dell’Armenia. Le nostre conoscenze si ampliano a partire dalla persecuzione di Licinio (320-324). In quel tempo 40 soldati appartenenti alla legione Fulminata furono arrestati perché cristiani e posti nell’alternativa di apostatare o di subire la morte. Rimasti fedeli alla loro fede, vennero condannati alla crudele pena di essere esposti nudi ai rigori del gelo invernale particolarmente pungente in questa regione.
Il martirio ebbe luogo il 9 di marzo nel cortile del ginnasio annesso alle terme della città. Melezio, forse il capo del gruppo, apostatò ma il suo posto venne preso dal custode delle terme. Dal prezioso documento che è il Testamento dei 40 martiri, apprendiamo che allora, nei piccoli paesi dell’Armenia, il cristianesimo di stampo ellenistico non era meno diffuso che in Cappadocia [1]. Forse ancora sotto Licinio, a Sebaste fu decapitato S. Biagio. Presumibilmente ancora sotto Licinio, a Sebaste fu decapitato Biagio. I suoi Atti, tardivi e leggendari, lo presentano come medico divenuto poi vescovo della città. Scoppiata la persecuzione, si nascose, ma venne catturato. Un giorno, una donna il cui figlio stava morendo a causa d’una lisca di pesce conficcatasi in gola, lo visitò in carcere e gli chiese aiuto. La benedizione di Biagio guarì immediatamente il fanciullo. Questo, come altri episodi ricorrenti negli Atti, giustificano la larghissima diffusione del culto riservato a Biagio, assunto quale patrono contro i mali di gola e — a motivo d’un altro miracolo — come patrono del bestiame.
Dopo la metà del IV secolo, fu vescovo della città il famoso Eustazio, maestro di Basilio. In Germania, l’assonanza del suo nome con il verbo blasen (soffiare), ha fatto di Biagio il protettore dei suonatori di strumenti a fiato. Nella guida della Chiesa di Sebaste pare gli sia subentrato Pietro I, menzionato negli Atti dei Santi 40 martiri, perché ne raccolse le reliquie. Suo successore, dopo la metà del IV secolo, fu il famoso Eustazio, maestro di Basilio. Nato verso il 300 circa, egli fu l’iniziatore dell’ascetismo in Asia Minore. Formatosi in Egitto dove conobbe Ario, Eustazio, divenuto nel frattempo sacerdote, fu condannato e deposto dal concilio di Gangra (340) e da quello di Antiochia (341) a motivo del suo ascetismo estremo. Nonostante la condanna, la Chiesa di Sebaste lo scelse quale vescovo (prima del 357). L’amicizia che lo legava al discepolo Basilio, divenuto vescovo di Cesarea, si ruppe a motivo di uno scisma scoppiato ad Antiochia nel quale i due si trovarono su sponde opposte. In questa circostanza Eustazio accusò il suo antico discepolo (373) che, dopo inutili tentativi di rappacificazione, passò al contrattacco.
Alla morte di Eustazio gli successe Pietro, fratello minore di Basilio Nella Lettera 228 Basilio così esordisce: « C’è un tempo per tacere e c’è un tempo per parlare: è un’affermazione dell’Ecclesiaste. Pertanto anche ora, dal momento che è stato sufficientemente lungo il tempo del silenzio, è tempo ormai di aprire la bocca per dimostrare la verità su ciò che si ignora… Abbiamo represso nel profondo del cuore il silenzio provocato in noi dalla calunnia… Ritenevo che non per malvagità ma per ignoranza della verità fossero state dette quelle parole contro di noi… Voglio tacere chi mi sia stato dato come custode e guida nella vita, sotto forma di aiuto e di compagno nella carità… ». Alla morte di Eustazio (380 ca.), come vescovo di Sebaste gli successe Pietro, fratello minore di Basilio. Questi, prima di essere eletto vescovo, aveva retto il monastero maschile situato nella proprietà della sua famiglia ad Annesi, presso il fiume Iris. In una lettera indirizzata all’altro fratello, Gregorio di Nissa, difese la memoria di Basilio che un giorno, scrivendogli, lo aveva chiamato amatissimo e religiosissimo conpresbitero (Lettera 205). L’importanza della Chiesa di Sebaste in epoca successiva si accrebbe al punto che dal 640 in poi essa fu costituita metropoli ecclesiastica dell’Armenia I.