Già menzionata in iscrizioni assire alla fine del I millennio sotto il nome di Nasibina, di questa città si sa ben poco sino al periodo ellenistico.
Nisibi divenne appieno città romana dopo la conquista dell’imperatore Lucio Vero. Seleuco I Nicatore (358-280 a.C.), generale di Alessandro, nel proposito di far sopravvivere l’impero greco-macedone in Asia, stanziò nella città un gruppo di Macedoni e le mutò il nome in Antiochia di Migdonia. Eppure con l’andar del tempo s’impose l’antica designazione di Nisibi. Espugnata dalle truppe di Lucullo nel 68 a.C., cadde poi in potere dei Parti.
Se si eccettua il breve tempo della riconquista di Traiano, Nisibi divenne appieno città romana dopo la conquista dell’imperatore Lucio Vero (163-166). Qualche anno più tardi Settimio Severo (193-211) la elevò al rango di colonia. Per la sua posizione di città-fortezza fu sottoposta ad assalti sia da parte dei Persiani sassanidi che dai Parti. A seguito della sfortunata guerra condotta da Giuliano l’Apostata contro l’impero persiano, l’imperatore Gioviano cedette la città alla Persia. In questa circostanza molti suoi abitanti emigrarono altrove lasciando il posto ai 12.000 Persiani che vi vennero inviati a ripopolarla. Da allora Nisibi — salvo pochi anni (629-639) — rimase in mano alla Persia sino a che, nel 640, fu conquistata dagli Arabi. La prima testimonianza storica sulla presenza cristiana a Nisibi ci proviene dall’epitaffio di Abercio, vescovo di Gerapoli (seconda metà del II sec.). In esso egli ricorda d’aver visto « anche la pianura della Siria e tutte le città, (anche) Nisibi, passato l’Eufrate. Dovunque poi ebbi fratelli, avendo Paolo compagno di viaggio e la fede (che) dovunque spingeva… ».
Per la sua posizione di città-fortezza fu sottoposta ad assalti sia da parte dei Persiani sassanidi che dai Parti. Sulla base delle testimonianze raccolte nel Breviarium Syriacum che ci presenta diversi martiri di Nisibi, è possibile far rimontare l’evangelizzazione della città a epoca ancor più antica. Intorno all’anno 306 qui nacque da genitori cristiani il più importante e illustre dei padri siriaci, Efrem (cfr. Edessa) [1]. Già nei primi anni del IV secolo la città di Nisibi figura come Chiesa rappresentata al concilio di Nicea dal vescovo Giacomo che la resse dal 308/309 al 338 ca. A lui Efrem dedicò il migliore dei suoi elogi nei Carmina Nisibena. Sembra sia stato lo stesso vescovo Giacomo a fondare la scuola teologica nella quale Efrem insegnò come commentatore della Scrittura sino al 363.
Intorno all’anno 306 qui nacque da genitori cristiani il più importante e illustre dei padri siriaci, Efrem. Intorno a quegli anni la città era completamente cristianizzata, i templi erano chiusi e non venivano più offerti sacrifici. Queste constatazioni indussero l’imperatore Giuliano l’Apostata a non accogliere una delegazione di Nisibeni che gli chiedeva aiuto contro una probabile incursione da parte persiana (Sozomeno, H.E., V,3). A questi delegati, anzi, l’imperatore fece sapere che « la loro città era impura ed egli non vi sarebbe entrato prima d’averla saputa convertita all’ellenismo » (Ivi). Ceduta ai Persiani nel 363 Nisibi divenne una città persiana[ 2]. Fu allora che Efrem e la scuola teologica si trasferirono a Edessa. Qui, dopo il concilio di Efeso (431), trovarono rifugio diversi sostenitori di Nestorio. La successiva persecuzione dell’imperatore bizantino Zenone (474-491) li costrinse a riparare fuori dell’impero e precisamente a Nisibi dove trovarono la protezione dei re di Persia proprio a motivo della loro opposizione alla dottrina romana ufficiale sostenuta nell’impero bizantino. Avvenne così che la scuola teologica di Nisibi, dopo il suo trasferimento a Edessa, ritornò alla sede originaria.
Ceduta ai Persiani nel 363 Nisibi divenne una città persiana. Fu allora che Efrem e la scuola teologica si trasferirono a Edessa. Fu il vescovo nestoriano Barsauma a patrocinare la nuova fondazione databile al 457, data in cui il grande dottore Narsai, esule da Edessa, vi venne posto quale direttore. Da quel tempo e per oltre 200 anni la scuola prosperò. Al tempo di Henana di Adiabene (567 ca.) essa contava 800 studenti. Era anzitutto scuola teologica il cui insegnamento aveva a base le opere di Nestorio, di Diodoro di Tarso e in particolare di Teodoro di Mopsuestia. A seguito di alcuni disordini scoppiati tra gli studenti, gli statuti della scuola vennero rivisti (496) e ci sono pervenuti. In essi si esprime, tra l’altro, la gratuità dell’insegnamento.
Per il proprio mantenimento ciascuno studente doveva provvedere a sé stesso, magari lavorando durante le vacanze estive che duravano da agosto a ottobre. La scuola teologica di Nisibi, dopo il suo trasferimento a Edessa, ritornò alla sede originaria Durante l’anno scolastico era vietata qualsiasi altra attività, persino l’impartire lezioni private « dal momento che lo studio della scienza non dev’essere assolutamente distratto da occupazioni estranee » (II,12). La scuola, esente dalla giurisdizione episcopale, era diretta da un maestro (Rabban) coadiuvato da un economo che fungeva anche da prefetto degli studi. I corsi erano della durata di tre anni e chi accettava di seguirli doveva impegnarsi a osservare i rigidi statuti che prescrivevano, tra l’altro, l’osservanza del celibato per tutta la durata dello studio e un tenore di vita quasi monastico.
Il centro intellettuale e spirituale del nestorianesimo, prese a declinare dopo la fondazione della scuola di Bagdad. Lo splendore di questa istituzione che costituì un vivaio di vescovi e di missionari e il centro intellettuale e spirituale del nestorianesimo, prese a declinare dopo la fondazione della scuola di Bagdad (832).