Mileto fu un’importante città portuale. Inizialmente colonizzata dai Cretesi all’epoca dell’espansione minoica, passò poi sotto i Greci di Micene, che ne fecero un fortificato porto franco (sec. XIV a.C.). Pare che Mileto corrisponda alla Millawanda dei testi hittiti.
Pare che Mileto corrisponda alla Millawanda dei testi hittiti. Nel VII sec. a.C. essa figura come il centro delle imprese navali ioniche, le cui navi trasportavano
i coloni alle spiagge del Mar Nero e in Egitto. La prosperità della città cessò all’improvviso con la rivolta ionica contro i Persiani (494 a.C.), che la distrussero. Ricostruita e conquistata poi da Alessandro Magno nel 334 a.C., essa conobbe un notevole benessere, dovuto al suo sviluppo commerciale, durante l’epoca ellenistica e romana.
All’espansione commerciale dell’antica Mileto andò unita l’importanza culturale. Sono noti tra i suoi cittadini i filosofi Talete, Anassimandro,Anassimene e Leucippo, atomista (480/475 a.C.). Qui si era pure insediata un’importante comunità giudaica, come risulta da un’iscrizione, ritrovata nel teatro, che assegnava un reparto di posti ai Giudei e ai « timorati del Signore ». Quando Paolo vi passò,Mileto era un porto di transito per la rotta navale Lesbo-Chio-Samos verso il sud. Sono noti tra i suoi cittadini i filosofi Talete, Anassimandro, Anassimene e Leucippo, atomista. Egli vi giunse al rientro dal suo terzo viaggio missionario nella primavera del 58 d.C. Dato che la nave su cui viaggiava si sarebbe fermata solo pochi giorni, fece subito venire da Efeso gli anziani della Chiesa per salutarli e per rivolgere loro i suoi ultimi pressanti incitamenti pa- storali. Luca, che era presente all’incontro come compagno di viaggio dell’Apostolo, ce ne offre negli Atti (20, 17-38) una vivida e partecipata rievocazione. Il breve indirizzo di Paolo è tutto pervaso di vibrante commozione, giacché egli prevede le sofferenze che personalmente lo attendono a Gerusalemme (At 20,22- 24), come pure intuisce le serie difficoltà e i pericoli, che in futuro questi pastori dovranno affrontare nel loro ministero (At 20,28- 31).
A buon diritto questo discorso di Paolo, l’unico che possediamo rivolto solo a cristiani, è stato definito il suo testamento spirituale. Inoltre egli è al corrente che durante la sua assenza i soliti avversari della provincia d’Asia hanno cercato di mettere i neoconvertiti contro di lui. E ora deve — sebbene a malincuore — fare l’apologia del proprio operato, regalandoci così un prezioso schizzo del suo animo e metodo apostolico (At 20, 18-21). A buon diritto questo discorso di Paolo, l’unico che possediamo rivolto solo a cristiani, è stato definito il suo testamento spirituale. Terminato di parlare, « si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave » (At 20,36-38). Stando alla notizia della 2ª Lettera a Timoteo 4,20, Paolo s
arebbe ritornato in seguito aMileto e vi avrebbe lasciato Trofimo, un suo discepolo di Efeso (At 21,29), perché al momento questi non poteva proseguire il viaggio con l’Apostolo a causa di una malattia. Dopo la notizia offertaci dalla 2ªLettera a Timoteo 4,20, sulla Chiesa di Mileto cala un sipario di silenzio fino al IV secolo.
Stando alla notizia della seconda Lettera a Timoteo 4,20, Paolo sarebbe ritornato in seguito a Mileto e vi avrebbe lasciato Trofimo, un suo discepolo di Efeso Dagli Atti del concilio di Nicea (325) ci è dato di conoscere il nome di Eusebio, in quel tempo vescovo della città. Al concilio di Sardica (343) compare un certo Embrazio e nel 538 emerge il nome di Giacinto che viene qualificato come arcivescovo, titolo che potrebbe indicare l’importanza notevole di Mileto in ambito ecclesiastico. Fu in questo tempo che l’imperatore dotò la città di una cinta di mura assai ridotta rispetto al perimetro della città antica. Circa la vita interna della comunità cristiana apprendiamo soltanto che in essa, intorno alla metà del V secolo, esistevano ancora numerosi sostenitori della celebrazione quartodecimana della Pasqua. Le drastiche misure prese contro costoro da Nestorio, patriarca di Costantinopoli, sfociarono in una rivolta aperta che venne soffocata nel sangue.