Efeso era la città d’Oriente più popolata dopo Alessandria e Antiochia sull’Oronte e possedeva un porto e un emporio di grandissima importanza.
Il culto di Artemide Polimaste (dalle molte mammelle), dea efesina della fecondità con il suo grande tempio: l’ Artemision, una delle sette meraviglie del mondo antico, vi attirava folle numerose Residenza dei proconsoli, era la capitale della provincia dell’Asia e giocava un ruolo commerciale, politico e religioso di prim’ordine [1]. Essa diede i natali al filosofo Eraclito [2]. Il culto di Artemide Polimaste (= dalle molte mammelle), dea efesina della fecondità e della vita, con il grande tempio a essa dedicato (Artemision), una delle sette meraviglie del mondo antico, vi attirava folle numerose e costituiva un lucrosissimo commercio per il fiorente artigianato locale degli argentieri [3]. La presenza degli Ebrei era pure assai cospicua. Essi erano così numerosi da formare una delle tribù della città. Come vedremo, Atti 19 dipinge con toni vivaci i fermenti religiosi presenti a Efeso al momento della penetrazione del Cristianesimo. Paolo giunge a Efeso la prima volta in compagnia di Priscilla e Aquila alla fine del suo secondo viaggio apostolico, mentre è diretto in Siria, e vi si ferma pochissimo (estate del 52 d.C.: At 18,18-21). Vi lascia però i due coniugi.
Poco dopo la sua partenza « arriva a Efeso un giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. La predicazione del Vangelo a Efeso si può dire che prenda l’avvio con il soggiorno di tre anni dell’Apostolo, Paolo. Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggior accuratezza la via di Dio » (At 18,24-26). Apollo, ricevuto il battesimo, proseguì pieno di zelo apostolico, verso l’Acaia e si recò a Corinto (At 18,27-19,1). Sono questi i segni della prima occasionale presenza cristiana nella capitale dell’Asia. La predicazione del Vangelo a Efeso si può dire che prenda l’avvio in modo consistente con il soggiorno dell’Apostolo, che si protrae per circa tre anni (ca. 54-57 d.C.). Al suo arrivo egli trovò un gruppo di discepoli di Giovanni Battista che convertì senza difficoltà al vangelo (At 19,1-7). Secondo la sua prassi usuale, Paolo inizia con l’annuncio ai Giudei, che si prolunga per tre mesi. Quando questi cominciano a osteggiarlo, mettendo in pericolo con il discredito la nascente comunità cristiana egli « si staccò da loro separando i discepoli e continuò a discutere ogni giorno nella scuola di un certo Tiranno » (At 19,9). Poteva trattarsi della scuola di un retore, nel caso di Tiranno, oppure dei locali d’incontro di una qualche associazione artigiana.
Al suo arrivo Paolo trovò un gruppo di discepoli di Giovanni Battista che convertì senza difficoltà al Vangelo Un’attendibile variante del testo ci offre una preziosa informazione, precisando che Paolo vi insegnava dalle ore 11 alle 16, cioè nel periodo più caldo della giornata, quando, a motivo del riposo pomeridiano, i locali non erano impegnati. La fatica apostolica, compiuta in queste condizioni, fu dura, ma non vinse la sua tenacia che gli permise di svolgere un’ampia opera di evangelizzazione, accompagnata da una dedizione e una condotta di vita eroicamente esemplari. La primavera del 58 d.C. nel colloquio con gli anziani della comunità efesina a Mileto, detto a buon diritto il suo testamento spirituale, Paolo traccia con commozione il quadro autobiografico della sua intensa attività apostolica in questo periodo: « Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove, che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù… non mi sono sottratto al compito di annunziarvi la volontà di Dio…per tre anni, notte e giorno io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi…Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno.
… non mi sono sottratto al compito di annunziarvi la volontà di Dio… per tre anni, notte e giorno io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi… Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli…» (At 20,18-21.27.31.33-35). Mentre si trova a Efeso, scrivendo alla comunità di Corinto, Paolo dichiara con entusiasmo il vasto campo di lavoro missionario, che si offre al suo zelo: « Mi fermerò a Efeso fino a Pentecoste, perché mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti » (1Cor 16,9). Infatti Efeso era il punto di confluenza e la porta, che immetteva nel popoloso e variegato retroterra della provincia asiatica. Gli Atti pure confermano, sintetizzando in modo nervoso, l’esito lusinghiero della fatica di Paolo: « Questo (lavoro) durò due anni col risultato che tutti gli abitanti della provincia di Asia Giudei e Greci, poterono ascoltare la parola del Signore» (At 19,10).
In realtà sappiamo che Colossi fu evangelizzata da un suo concittadino Epafra (Col 1,7), il quale estese il proprio apostolato a Laodicea e a Gerapoli (Col 4,13), e che Paolo era coadiuvato in quel tempo pure da Timoteo ed Erasto (At 19,22), da Gaio, da Aristarco (At 19,29), da Tito e da altri ancora (2Cor 12,18). Leggiamo: Dio intanto operava prodigi non comuni per opera di Paolo, al punto che si mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli, che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivan Il prestigio dell’Apostolo crebbe enormemente e catalizzò parte della città, che pure era assorbita e distratta dagli interessi più disparati. Ciò, se favorì la causa del Vangelo, fu motivo di gravi sofferenze e pericoli per lui. Due passi degli Atti confermano quanto stiamo dicendo. Sulla risonanza positiva dell’azione paolina leggiamo: « Dio intanto operava prodigi non comuni per opera di Paolo, al punto che si mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli, che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano. Alcuni esorcisti ambulanti giudei provarono a invocare anch’essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi, dicendo: “Vi scongiuro per quel Gesù che Paolo predica”. Facevano questo sette figli di un certo Sceva, un sommo sacerdote giudeo. Ma lo spirito cattivo rispose loro: “Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?”.
E l’uomo che aveva lo spirito cattivo, slanciatosi su di loro, li afferrò e li trattò con tale violenza, che essi fuggirono da quella casa nudi e coperti di ferite. Il fatto fu risaputo da tutti i Giudei e dai Greci che abitavano a Efeso e tutti furono presi da timore e si magnificava il nome del Signore Gesù. …Alcuni esorcisti giudei provarono a invocare anch’essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi…Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dramme d’argento. Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava » (At 19,11-20). Ma tutto ciò non poteva non compromettere gli interessi commerciali del fiorente artigianato, che viveva all’ombra del veneratissimo santuario diArtemide. E di fatto, poco dopo, scoppiò la sommossa degli argentieri contro Paolo, come ci viene descritta con colori vivaci in At 19,23-41: « Verso quel tempo scoppiò un gran tumulto riguardo alla nuova dottrina. Un tale argentiere chiamato Demetrio, che fabbricava tempietti di Artemide in argento e procurava in tal modo non poco guadagno agli artigiani, li radunò assieme agli altri che si occupavano di cose del genere e disse: “Cittadini, voi sapete che da questa industria proviene il nostro benessere; ora potete osservare e sentire come questo Paolo ha convinto e sviato una massa di gente, non solo di Efeso, ma si può dire di tutta l’Asia, affermando che non sono dèi quelli fabbricati da mano d’uomo. Non soltanto c’è il pericolo che la nostra categoria cada in discredito, ma anche che il santuario della grande dea Artemide non venga stimato più nulla e venga distrutta la grandezza di colei che l’Asia e il mondo intero adorano”.
La predicazione di Paolo non poteva non compromettere gli interessi del fiorente artigianato, che viveva all’ombra del santuario di Artemide. All’udire ciò s’infiammarono d’ira e si misero a gridare: “Grande è l’Artemide degli Efesini!”. Tutta la città fu in subbuglio e tutti si precipitarono in massa nel teatro, trascinando con sé Gaio e Aristarco macedoni, compagni di viaggio di Paolo. Paolo voleva presentarsi alla folla, ma i discepoli non glielo permisero. Anche alcuni dei capi della provincia, che erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro. Intanto chi gridava una cosa, chi un’altra; l’assemblea era confusa e i più non sapevano il motivo per cui erano accorsi. Alcuni della folla fecero intervenire un certo Alessandro che i Giudei avevano spinto avanti ed egli, fatto cenno con la mano, voleva tenere un discorso di difesa davanti al popolo.
Appena s’accorsero che era giudeo, si misero tutti a gridare in coro per quasi due ore: “Grande è l’Artemide degli Efesini!”. Paolo aveva già deciso in precedenza di lasciare Efeso, ma questo fatto così grave lo indusse ad affrettare la partenza Alla fine il cancelliere riuscì a calmare la folla e disse: “Cittadini di Efeso, chi fra gli uomini non sa che la città di Efeso è custode del tempio della grande Artemide e della sua statua caduta dal cielo? Poiché questi fatti sono incontestabili, è necessario che stiate calmi e non compiate gesti inconsulti. Voi avete condotto qui questi uomini che non hanno profanato il tempio né hanno bestemmiato la nostra dea. Perciò se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, ci sono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l’un l’altro. Se poi desiderate qualche altra cosa, si deciderà nell’assemblea ordinaria. C’è il rischio di essere accusati di sedizione per l’accaduto di oggi, non essendoci alcun motivo per cui possiamo giustificare questo assembramento”. E con queste parole sciolse l’assemblea ».
Da Efeso Paolo scrisse pure alcune lettere: ai Filippesi, ai Corinzi e, probabilmente, ai Galati. Paolo aveva già deciso in precedenza di lasciare Efeso (At 19,21- 22), ma questo fatto così grave lo indusse ad affrettare la partenza e si diresse tosto verso la Macedonia (At 20,1). Da Efeso Paolo scrisse pure alcune lettere: quasi certamente i vari biglietti ai Filippesi, di cui parla Policarpo, che sarebbero poi confluiti nell’attuale Lettera ai Filippesi; verso la Pasqua del 57 d.C. invia ai Corinzi l’attuale 1ªLettera ai Corinzi (1Cor 16,8); probabilmente è pure di quest’epoca la Lettera ai Galati. Abbiamo detto finora della generosa messe missionaria dell’Apostolo, ma non possiamo passare sotto silenzio le abbondanti prove e sofferenze di questo periodo a cui egli stesso allude in modo oscuro nelle sue lettere. Nella 1ªLettera ai Corinzi 15,32 dice di « aver combattuto a Efeso contro le belve ». Nella 2ªLettera ai Corinzi 1,8-9 parla di una « tribolazione, che ci è capitata in Asia e ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte… Da quella morte però egli ci ha liberato…».
Nella 1ª Lettera ai Corinzi Paolo dice di « aver combattuto a Efeso contro le belve » In Romani 16,3.7 ritorna sull’argomento: « Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa…Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia… ». L’Apostolo allude forse a un’eventuale prigionia subita a Efeso? Sono molti ad affermarlo e con buone ragioni. Comunque egli si ricorda certamente dei pericoli mortali che ivi lo hanno minacciato, sia – come il solito – da parte dei Giudei, sia da parte dei pagani (sommossa degli argentieri). Secondo la più antica tradizione, Efeso fu pure l’ultimo soggiorno dell’apostolo Giovanni. Una cosa pare certa: il carattere culturalmente polivalente del quarto Vangelo si adatta bene al contesto culturale efesino, come pure la situazione ecclesiale rispecchiata nelle lettere giovannee, che rivelano un’incipiente polemica antignostica, tipica dell’ambiente dell’Asia Minore.
Nella 2ªLettera ai Corinzi Paolo parla di una « tribolazione, che ci è capitata in Asia e ci ha colpiti oltre misura… ». La stessa cosa pare si debba affermare per l’Apocalisse. Nella metropoli della provincia proconsolare d’Asia vi fu perciò anche una pluralità di comunità cristiane di varia ispirazione e sullo scorcio del I secolo d.C. troviamo la presenza di comunità paoline e giovannee. L’ Apocalisse ci ha conservato una lettera indirizzata alla Chiesa giovannea di Efeso: « All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova – quelli che si dicono apostoli e non lo sono – e li hai trovati bugiardi. Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto. Tuttavia hai questo di buono, che detesti le opere dei nicolaiti, che anch’io detesto.
Secondo la più antica tradizione, Efeso fu pure l’ultimo soggiorno dell’Apostolo Giovanni. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese:Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio » (Ap 2,1-7). Dal testo risulta che la comunità ha un soddisfacente livello di vita cristiana: le si riconosce una fede operosa e illuminata. Sul piano pratico la serietà dell’impegno è collaudata dalla sopportazione di difficoltà ambientali gravi, forse addirittura di persecuzione, mentre su quello dottrinale c’è un deciso rifiuto di quelli che si dicono apostoli e non lo sono (vv. 2-3), probabile allusione ai predicatori nicolaiti, che incontreremo nelle lettere alle Chiese di Pergamo e Tiatira.
Doveva trattarsi di un’interpretazione gnosticizzante della fede cristiana, che è pure testimoniata nelle lettere giovannee, la quale sopravvalutava il fatto della conoscenza religiosa al punto da trascurare indebitamente l’importanza del comportamento etico. L’Apocalisse ci ha conservato una lettera indirizzata alla Chiesa di Efeso: « All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi: (…) Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti ». La comunità giovannea di Efeso ha reagito energicamente a questa pericolosa deviazione, tuttavia le si rimprovera di essere decaduta dal suo amore di prima (v. 4) e viene invitata a ritornare al primitivo fervore (v. 5). Forse ci si accontentava troppo della sola professione ortodossa di fede e si cominciava ad adagiarsi con una certa autosufficienza sul lodevole operato del passato! Passando dal periodo neotestamentario a quello immediatamente successivo, il nome di Efeso compare legato a una lettera che Ignazio di Antiochia scrisse da Smirne a questa comunità. Di questa Chiesa efesina benedetta in grandiosità con la pienezza di Dio Padre… degna di essere beata, egli ci trasmette il nome del suo vescovo Onesimo, del diacono Burro e dei cristiani Croco, Euplo e Frontone.
Ignazio attesta e loda l’unità che caratterizza la vita di questa comunità nella quale eresie e scismi pare non abbiano ottenuto grandi successi (« vivete tutti secondo verità e non si annida eresia alcuna in voi »: VI,1-2; « dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesù Cristo »: IV,1). Dal testo dell’Apocalisse risulta che la comunità ha un soddisfacente livello di vita cristiana. Il vescovo diAntiochia, dunque, usa un atteggiamento di venerazione verso gli Efesini che qualifica come « iniziati di Paolo » (XII,1) e quale Chiesa celebrata nei secoli (VIII,1) [4]. In effetti, la Chiesa di Efeso mantenne la sua rinomanza e una posizione predominante sulle altre Chiese asiatiche. Ci basti ricordare come, intorno al 190, il vescovo Policrate di Efeso emerge chiaramente come capo e guida dei vescovi asiatici che, contrariamente alla prassi romano-alessandrina, celebravano la Pasqua in data fissa, il 14 di Nisan, qualunque giorno della settimana cadesse.
Il nome di Efeso compare legato a una lettera che Ignazio d’Antiochia scrisse da Smirne a questa comunità. Ancora Policrate fornisce altre significative testimonianze: ci parla di « sette parenti (che) furono vescovi, e io sono l’ottavo » (Eusebio, H.E.,V, 24,6). Nella lettera che scrive al vescovo di Roma, Vittore, accenna ai vescovi che egli ha convocato e aggiunge che « a scrivere i loro nomi sarebbero una vera moltitudine » (Ivi, 8). Ricorda poi come Efeso è depositaria di grandi memorie delle Chiese frigio-asiati-che: « In Asia », scrive, « si sono estinti i grandi luminari che risorgeranno nel giorno della parusia del Signore: cioè…una terza figlia di Filippo che visse nello Spirito Santo e riposa a Efeso; c’è anche Giovanni che riposò sul petto del Signore e portò la lamina (d’oro) e fu martire e dottore. Egli si è addormentato a Efeso » (Ivi, 2-3).
Ignazio attesta e loda l’unità che caratterizza questa comunità nella quale eresie e scismi pare non abbiano ottenuto grandi successi Policrate dovette certo confrontarsi con la nuova profezia (montanismo).
Fu comunque il suo successore,Apollonio, che lo combatté scrivendo anche un trattato antimontanista (212 ca.) in cui muoveva ai capi della setta accuse di ordine morale e confutava la veridicità delle profezie. Dopo le scarne informazioni intorno adApollonio, sulla Chiesa di Efeso cala il silenzio. Per certo, con l’introduzione della nuova struttura provinciale voluta da Diocleziano che limitò la provincia dell’Asia dal sud dellaMisia alla foce delMeandro, anche l’influsso politico religioso della Chiesa efesina risultò notevolmente ridotto. Inoltre la sua importanza era destinata a ridursi sempre di più a causa dell’egemonia esercitata dalla nuova Roma (Costantinopoli). Nella lista dei vescovi di Efeso figura il nome di Menofante che, un tempo discepolo di Luciano d’Antiochia, si schierò dalla parte degli ariani e venne deposto nel sinodo di Sardica-Filippopoli (343).
Il vescovo Policrate di Efeso emerge chiaramente come capo e guida dei vescovi asiatici che celebravano la Pasqua in data fissa: il 14 di Nisan. Nel fervore culturale e religioso che sempre caratterizzò la città di Efeso, terra natale del filosofo Eraclito (VII-VI sec. a. C.), va collocato anche il confronto tra il cristianesimo e una scuola neoplatonica che, retta per un certo tempo dal filosofo pagano Massimo, ottenne l’appoggio dell’imperatore Giuliano l’Apostata. Il confronto con il neoplatonismo paganizzante non fu così forte come invece si dimostrò quello tra Ariani e Niceni.
Orientato in senso ariano figura anche Evenzio, successore di Menofante nella guida della Chiesa di Efeso. Intorno al 400 la comunità efesina appare retta da Antonino che fu scelto dallo stato laicale a condizione che rinunciasse alla vita matrimoniale.La successiva inadempienza di questo obbligo canonico, il tenore di vita lussuoso condotto da Antonino come pure la cessione sotto denaro di alcuni seggi episcopali, indussero Giovanni Crisostomo a nominare una commissione d’inchiesta, e, in seguito, a recarsi personalmente a Efeso per presiedere un concilio di circa 70 vescovi (400 ca.). [inset side=right] Nel fervore culturale e religioso che caratterizzò la città di Efeso, va collocato anche il confronto tra il cristianesimo e la scuola neoplatonica.
Nel frattempo Antonino era deceduto. A succe- dergli, Giovanni Crisostomo elesse il diacono Eracleide, poi deposto nel sinodo della Quercia dal patriarca Teofilo diAlessandria (403). Al suo posto fu collocato Castino. Nel 431 la sede episcopale appare occupata da Memnone il quale, per tutelarsi contro le pretese autoritarie del patriarca di Costantinopoli, si alleò con il patriarca Cirillo d’Alessandria. Fu sotto Memnone che a Efeso ebbe luogo il terzo concilio ecumenico (431) [5]. La prima sessione del sinodo si svolse in un edificio romano, forse la borsa, che nel IV secolo (dopo il 380) era trasformata in una Chiesa dedicata a Maria. I circa duecento vescovi che presero parte a questa assise, sottoscrissero dodici anatematismi composti da Cirillo: ratificando la condanna e la deposizione del patriarca di Costantinopoli, Nestorio che, conformemente all’indirizzo teologico antiocheno difisita non vedeva di buon occhio la qualifica di Maria quale madre di Dio (Theotokos). Nel 431 la sede episcopale appare occupata da Memnone il quale, per tutelarsi contro le pretese autoritarie del patriarca di Costantinopoli, si alleò con il patriarca Cirillo d’Alessandria Alla prima sessione del concilio fece seguito una grande fiaccolata per le vie della città, organizzata da Memnone in onore della Theotokos.Aquesta prima sessione erano però assenti i delegati di papa Celestino e i vescovi orientali ancora in viaggio.
Questi ultimi, giunti a Efeso con due giorni di ritardo sull’apertura del concilio (24 giugno), convocarono un contro-concilio, e, sotto la presidenza di Giovanni, patriarca di Antiochia lamentarono l’irregolarità della procedura seguita e dichiararono deposti tanto Cirillo che Memnone. Dal canto loro questi ultimi, riuniti nel palazzo episcopale, dichiararono deposti Giovanni e altri 34 vescovi orientali. L’intervento dell’imperatore Teodosio II che sciolse il concilio approvando la deposizione di Cirillo,Memnone e Nestorio, ebbe effetto soltanto in rapporto a quest’ultimo che si ritirò in un monastero nei pressi diAntiochia. Cirillo, al contrario, rientrò trionfalmente adAlessandria e Memnone resse indisturbato la Chiesa di Efeso fino al 440, data in cui compare il nome del suo successore Basilio. Fu sotto il vescovo Memnone che a Efeso ebbe luogo il terzo concilio ecumenico.
Sotto costui ebbe luogo un concilio locale per appianare un contrasto prodottosi durante l’episcopato di Memnone.Pare che questi, geloso della popolarità d’un suo presbitero di nome Bassiano, per liberarsene l’avesse forzatamente ordinato vescovo di Evaza.
Bassiano non prese mai possesso della sua Chiesa ma rimase a Efeso fino a che il concilio locale convocato da Basilio riconobbe l’invalidità della sua ordinazione compiuta da Memnone. Alla morte di Basilio, Bassiano venne chiamato da una parte del clero e del popolo di Efeso a succedergli sulla cattedra episcopale. Alla prima sessione del concilio fece seguito una grande fiaccolata per le vie della città, organizzata da Memnone in onore della Theotokos. Eppure nel 447 un concilio di 40 vescovi asiatici dichiarò non canonicamente valida l’elezione di Bassiano ed elesse in suo luogo Stefano. Sotto di lui nacque la leggenda dei Sette dormienti di Efeso. Secondo tale leggenda, al tempo della persecuzione di Decio (250), sette giovani cristiani avrebbero trovato rifugio in una grotta ai piedi del monte Pion: in essa, protetti dai persecutori essi avrebbero dormito risvegliandosi al tempo di Teodosio II (401- 450).
Tale leggenda trae origine da un’errata interpretazione della necropoli sotterranea di Panayir Dağ a Efeso. Essa, comunque conobbe una rapidissima e vasta diffusione non solo nel mondo cristiano ma fu recepita anche da Maometto (cfr. Corano, Sura XVIII—della Caverna) che la ricorda quale segno dell’onnipotenza di Dio. Sotto l’episcopato di Stefano ebbe luogo, nel 449, un concilio chiamato poi Latrocinio efesino.A Memnone successe Basilio e a questi Bassiano.
Convocato dall’imperatore Teodosio II, tale sinodo, raccolto nella Chiesa di Santa Maria alla presenza di 130 vescovi, doveva esaminare le accuse di monofisismo mosse a Eutiche dal patriarca Flaviano di Costantinopoli e dal vescovo Eusebio di Dorileo. Il sinodo avrebbe dovuto ratificare la condanna già emessa a Costantinopoli nei confronti di Eutiche.In realtà avvenne che il patriarca diAlessandria, Dioscoro, presiedendo il concilio, riabilitò Eutiche, impedì ai delegati papali di parlare e mise sotto accusa Flaviano ed Eusebio Sotto il vescovo Bassiano nacque la leggenda dei Sette dormienti di Efeso. Seguì un grave tumulto, aggravato dall’irrompere nella Chiesa di soldati, monaci e altri che presero a malmenare i vescovi. Flaviano, a seguito delle percosse inflittegli, morì tre giorni dopo; Eusebio di Dorileo e i delegati papali riuscirono a scappare imbarcandosi in incognito alla volta di Roma.
Dioscoro—dal canto suo—dopo aver fatto condannare dai vescovi convenuti tutti gli esponenti antiocheni della teologia difisita, dichiarò chiuso il concilio. Due anni più tardi il concilio di Calcedonia (451) prese posizione circa il contrasto tra Bassiano e Stefano: depose entrambi dichiarandoli indegni di governare la Chiesa di Efeso. Sotto l’episcopato di Stefano ebbe luogo un concilio chiamato poi « Latrocinio efesino ». Ancora al concilio di Calcedonia il vescovo Leonzio di Magnesia dichiarò che fino a quel tempo, Efeso aveva avuto 27 vescovi dei quali soltanto una quindicina erano noti. A seguito della deposizione di Bassiano e di Stefano venne eletto come vescovo Giovanni II, e, dopo di lui, Paolo.
Questi, nutrendo tendenze monofisite ed essendo scelto senza consenso del patriarca Acacio di Costantinopoli, fu presto deposto. Eppure, con l’avvento al trono imperiale dell’usurpatore Basilisco (475-476), un concilio riunitosi a Efeso (475 ca.), decretò che Paolo rioccupasse il seggio episcopale della città, confermò l’orientamento monofìsita seguito dall’imperatore e rivendicò alla Chiesa di Efeso i diritti di Chiesa metropolitana che la sede patriarcale di Costantinopoli pareva adombrare. Durante il sinodo ci fu un grave tumulto, aggravato dall’irrompere nella Chiesa di soldati, monaci e altri che presero a malmenare i vescovi. In effetti, l’ascesa della nuova Roma, dove patriarcato e impero erano strettamente legati portò le Chiese dell’Asia Minore a ridurre la loro autonomia. Come se non bastasse, Costantinopoli attrasse a sé anche la vita economica delle regioni circonvicine danneggiando irreversibilmente l’influenza economica di città quali Efeso e Smirne.
La cessazione del benessere influenzò la stessa vita della Chiesa.Ma il glorioso passato cristiano di Efeso garantì ancora per un certo tempo un poco dell’antico splendore. La riprova di ciò è fornita dalla enorme basilica che l’imperatore Giustiniano fece costruire (540 ca.) sulla precedente chiesa costantiniana eretta sulla tomba dell’apostolo Giovanni. Non va poi dimenticata la Chiesa dei Sette Dormienti, fatta costruire da Teodosio II (445 ca.) che pure attrasse a Efeso numerosi pellegrini cristiani. Costantinopoli attrasse a sé anche la vita economica delle regioni circonvicine, danneggiando l’influenza economica di città quali Efeso e Smirne.