Pare sia stato un gruppo di coloni provenienti da Megara, città sull’istmo di Corinto, a fondare Calcedonia intorno al 685 a.C. Il nome Calcedonia (Chalkedòn), assai simile al greco Cartagine (Charchedòn), non è greco ma fenicio e significa Nuova città (Karkhi Don). Agli inizi Calcedonia costituì un piccolo stato indipendente, talvolta in rivalità con la vicina Bisanzio. In effetti, nei pressi del ponte di Moda, sono state rinvenute tracce di un’installazione fenicia, poi rimpiazzata dai coloni di Megara. Quando i Turchi, verso la metà del XIV secolo, si impadronirono della città la chiamarono Kaleca Dünya (terra del tappeto), pare a causa del suo aspetto ridente. Dopo la presa di Costantinopoli (1453), Maometto II la diede in feudo al primo cadı o giudice d’Istanbul, Hıdir bey. Da qui il nome attuale di Kadıköy (villaggio del giudice). Agli inizi Calcedonia costituì un piccolo stato indipendente, talvolta in rivalità con la vicina Bisanzio. Occupata a più riprese dai Persiani, entrò nella lotta che opponeva Sparta ad Atene, come anche nel conflitto tra i successori di Alessandro Magno († 323 a.C.). Vi era una setta gnostica per la quale il serpente – simbolo della tentazione – assumeva una valenza positiva: diveniva il benefico elargitore della scienza del bene e del male Nel 74 a.C. Roma ricevette in dono dal re Nicomede IV il regno di Bitinia, e con esso anche Calcedonia, che vi apparteneva. Tuttavia anche allora mantenne il suo statuto di città libera. Le fonti di cui disponiamo ci informano che Calcedonia entrò assai presto a contatto con il cristianesimo. Il primo personaggio della comunità cristiana calcedonese, che risulta già costituita alla fine del II secolo, è il vescovo Teocrito, che in quegli anni lottò contro gli ofiti, una setta gnostica nella quale il serpente, tanto nella dottrina che nella pratica cultuale, pare avesse grande importanza. Il ruolo primario ascritto a questo animale è riconducibile alla dottrina del Dio demiurgo dell’Antico Testamento contrario all’uomo.
In questa lettura il serpente – simbolo della tentazione (Gn 3) – assumeva una valenza positiva: diveniva il benefico elargitore della scienza del bene e del male che Dio nell’Antico Testamento voleva nascondere all’uomo. Secondo Epifanio (Panarion 37) e Predestinato ( XVII; PL 53, col 593) gli ofiti si sarebbero valsi d’un serpente vivo, simbolo di Cristo, per celebrare l’Eucaristia. Il tocco della sua lingua avrebbe consacrato il pane. Come riferisce ancora Predestinato, Teocrito di Calcedonia confutò pubblicamente i sacerdoti degli ofiti, ne uccise i serpenti e liberò il popolo dal pericolo di questa setta (ivi). Nei primi decenni del IV secolo a capo della comunità calcedonese compareMaride, discepolo di Luciano d’Antiochia e strenuo difensore di Ario, al quale era legato d’amicizia. Anche a Nicea Maride offrì all’amico il proprio appoggio. Nel periodo successivo Maride si schierò con il gruppo filoariano (eusebiani), che provocò la deposizione di Atanasio d’Alessandria (335) e sostenne la politica arianeggiante dell’imperatore Costanzo (324- 361). Il Vescovo Teocrito di Calcedonia confutò pubblicamente i sacerdoti degli ofiti, ne uccise i serpenti e liberò il popolo dal pericolo di questa setta. Egli fa la sua ultima comparsa nel 362 quando, assai attempato e cieco, incontrò l’imperatore Giuliano l’Apostata di passaggio a Calcedonia. In quella circostanza egli rimproverò Giuliano chiamandolo empio, apostata. Dal canto suo questi, sottolineando la malattia di occhi di Maride, ribatté: « È sicuro che il tuo Dio galileo non ti guarirà mai ». Lo storico Socrate, che riporta l’episodio, ricorda che Giuliano aveva preso l’abitudine di chiamare Cristo il Galileo e i cristiani i Galilei (H.E., III,12). Agli inizi del IV secolo la comunità cristiana di Calcedonia dovette sperimentare la persecuzione messa in atto da Diocleziano. Pare che i cristiani messi a morte siano stati una cinquantina. Tra di essi spicca il nome di Eufemia, che consumò il suo martirio nell’anno 303. Al di là delle notizie leggendarie sviluppatesi sul suo conto, due elementi paiono degni di fede: il dato oggettivo della verginità di Eufemia e il supplizio del fuoco cui sarebbe stata sottoposta. In onore della martire fu eretta una basilica sepolcrale, edificata anteriormente al 399, data in cui in questa chiesa avvenne l’incontro tra il generale goto Gainas e l’imperatore Arcadio (383- 408).La pellegrina Eteria, nel suo pellegrinaggio in Oriente, annota d’essere giunta anche a Calcedonia. « Qui » scrive « mi fermai a causa del famosissimo santuario di Santa Eufemia, a me già noto da tempo ». La pellegrina Eteria, nel suo pellegrinaggio in Oriente, annota d’essere giunta anche a Calcedonia. « Qui » scrive « mi fermai a causa del famosissimo santuario di Santa Eufemia, a me già noto da tempo ». Questa basilica martiriale, sita su una collina a un miglio da Calcedonia – forse nell’odierna località di Haydar Paşa – non esiste più. Dalla descrizione che ne fa Evagrio (536-600 ca.) nella sua Storia Ecclesiastica (II,3), essa era architettonicamente simile alla basilica del Santo Sepolcro in Costantinopoli. Dovette essere anche di dimensioni notevoli se nel 451 poté raccogliere gli oltre 600 (o 350?) padri convocati per il celebre concilio di Calcedonia, indetto dall’imperatore Marciano con l’assenso di papa Leone Magno. Il fatto che il concilio abbia avuto luogo nella basilica di Sant’Eufemia rende ragione dell’importanza che il culto della Santa —considerata protettrice dell’ortodossia—godrà in epoca successiva tanto in Oriente che in Occidente. Nel concilio, che iniziò i suoi lavori l’8 novembre del 451, si esaminarono gli atti del concilio di Efeso del 449 (Latrocinio efesino). In questa circostanza l’ormai defunto arcivescovo di Costantinopoli Flaviano fu riabilitato. La base dottrinale del concilio venne fornita dalla lettera che papa Leone, tempo addietro, aveva inviato a quest’ultimo, e nella quale il monofisismo d’Eutiche era condannato. Dovette essere anche di dimensioni notevoli se nel 451 poté raccogliere tutti i padri conciliari. Nonostante la contrarietà di diversi vescovi e dei legati pontifici, l’imperatore riuscì a ottenere che il concilio producesse una propria professione di fede. In essa risulta utilizzato il linguaggio e il patrimonio concettuale fornito dalla cultura filosofica ellenistica. I concetti di natura, di persona e di ipostasi stanno alla base della formula calcedonese, che giunse a definire in Cristo le due nature (umano/divina) senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, mantenendo ciascuna delle due la sua proprietà e concorrendo a formare una sola persona o ipostasi [1]. Come è noto, l’assimilazione delle decisioni conciliari incontrò in seguito grandi difficoltà. Il fatto che una larga fascia di vescovi non fosse convinta delle scelte fatte, la considerazione che esse furono imposte dall’imperatore in un momento storico di crescente separatismo regionale e, infine, l’uso stesso d’un bagaglio concettuale ellenistico che esprimeva l’universo politico/culturale greco-romano, ma non quello copto e siriaco, lasciano intravedere le difficoltà che segnarono il dopo Calcedonia. In questo concilio, accanto alle prese di posizione dottrinale, furono trattati anche temi attinenti alla vita della Chiesa. Tra l’altro si riconobbe a Costantinopoli l’autorità di nuova Roma, seconda soltanto alla prima (can. 28). In questo concilio furono trattati anche temi attinenti alla vita della Chiesa. Tra l’altro si riconobbe a Costantinopoli l’autorità di nuova Roma, seconda soltanto alla prima . Si stabilì che le diaconesse non venissero ordinate prima dei 40 anni (can. 15); che i monaci fossero sottoposti all’autorità del vescovo (can. 3, 4, 20); che una Chiesa non dovesse rimanere priva del vescovo per più di tre mesi (can. 25), ecc. [2]. Dopo il concilio, la Chiesa di Calcedonia assurse al ruolo di metropoli, nonostante fosse priva di Chiese suffraganee. Nella sua storia è registrata anche l’esecuzione dell’imperatore Maurizio e dei suoi cinque figli, avvenuta per volere dell’usurpatore Foca nel porto d’Eutropio (602). A partire dal 609 Calcedonia andò soggetta a invasioni da parte di Persiani e diArabi (l’ultima nel 782), che accellerarono il processo di decadimento di questa città, avente una certa importanza, almeno sino al secolo VII.